Testo composto, rilegato e stampato presso F.lli Dinolfo, Corso Umberto, Gangi (Pa)
In data 20-6-2013



Patrimonio e storia della Compagnia dei “Bianchi” di Gangi (XVI-XX secolo)
di Mario Siragusa

parte II


La compagnia dei Bianchi e il Vicere

Riguardo la vita istituzionale della Compagnia, ricordiamo che per statuto i Bianchi erano impegnati in opere di beneficienza. C’era un addetto della Compagnia che esigeva dai propri concittadini delle offerte in favore di persone economicamente e socialmente disagiate. Attività delicata, questa, anche perché degli abusi potevano essere sempre in agguato. Il capitolo 2° infatti statuiva che era necessario per i confratelli <>20. L’attività caritatevole svolta dai Bianchi era regolamentata dalle leggi del tempo. Infatti la Compagnia chiese formalmente al Vicerè l’approvazione di tale capitolo. La risposta viceregia fu positiva. Si consentì ai suoi membri di <<andare elemosinando o cogliendo con sacco e mantilletta in ogni sabato per la città[…]>>21. Il sodalizio aveva assunto quasi una natura giuridica “pubblica”. Infatti, nell’espletamento delle “sante opere”, i fratelli godevano della protezione della Regia Monarchia, uno degli organi di governo “centrali” del Viceregno spagnolo in Sicilia.Inoltre il sodalizio si richiamava, dal punto di vista statutario, ad una omonima Compagnia ( intitolata al SS.mo Crocifisso) e istituita a Palermo. Si provvide a dare un limite discrezionale a tali atti di beneficienza. Infatti dovevano essere preferite nell’atto di assegnazione dotale da parte della confraternita in questione le figlie dei fratelli e <<le donne di qualità>>. Il sorteggio era il metodo previsto per assegnare tale beneficienza. La vita organizzativa della Compagnia dei Bianchi di Gangi dovette uniformarsi a quella omonima di Palermo, tant’è che si intitolò pure essa al SS.Crocifisso ed aveva come alti protettori i santi Luca e Antonino[ivi].Un ospedale era stato fondato dalla Compagnia dei Bianchi di Gangi, sul filo della promozione di attività assistenziali in favore di poveri e bisognosi. L’ente fu naturalmente sottoposto alle autorizzazioni di prammatica. Autorizzazione viceregia puntualmente arrivata nel 157322 [ivi]. Sempre all’interno delle attività caritatevoli della Compagnia era prevista la destinazione dei proventi associativi in favore di ragazze povere e disagiate oppure orfane a titolo di dote matrimoniale. Alla base c’era la gestione di eredità di soggetti che avevano donato parzialmente o integralmente il proprio patrimonio ai Bianchi. Uno di questi era il magnifico Vincenzo De Marco (1592). Un altro più o meno facoltoso donatario era stato fra’ Emanuele Pinello. Nel relativo contratto testamentario si disponeva che la compagnia dei Bianchi dovesse essere nominata erede universale dei suoi beni. Su questa gravava l’onere di distribuire una quota del patrimonio ai consanguinei del testatore[Capitoli della Compagnia dei Bianchi, cit.].In questo modo la medesima accresceva gradualmente il proprio patrimonio con l’effetto di suscitare attenzioni e consensi verso la gente. Ognuno , avendo o non avendo titoli e requisiti per usufruire delle beneficienza della pia istituzione, faceva pressione verso i confrati ed i loro capi per accaparrarsi qualche sostanza mobiliare o immobiliare.
Organigramma dei Bianchi-Monte di Pietà del 1719
D.Nicolò De Salvo (rettore)
D.Francesco Matta , D.Domenico Matta, D.Baldassarre De Salvo , D.Filippo Vitale, D.Vincenzo Di Chiara, D.Rosario Ragusa, D.Giovan Filippo Vitale , D.Ignazio Di Maria , notar .Michelangelo Vitale, Dr.D. Filippo Puccio, D. Franco Li Destri (procuratore), Benedetto Ragusa (notaio), D.Antonio Li Destri, Giuseppe Caponnetto, D.Francisco Matta, D.Giuseppe Nicchi, D.Vincenzo Di Salvo, D. Andrea Vitale, D.Giacomo Vitale,Ignazio Paradiso, D.Domenico Matta, D.Filippo Vitale, D.Michelangelo Di Salvo, D.Rosario Di Salvo
23.
Doveva passare per le mani di questa confraternita anche l’amministrazione di lasciti ereditari in favore di fanciulle in età matrimoniale. Nel 1601 il suo rettore Gianfederico Notararigo (o Notarerigo) dava mandato al confrate che doveva svolgere funzioni di economo, Leone Cammarata, 1 onza a titolo di dote ad una puella sposa di tal Francesco Ferraro24 Il potere dei Bianchi era davvero pervasivo. Occupava quasi ogni interstizio della vita sociale gangitana .Era un corpo intermedio tra popolo e principi o marchesi del luogo che rendeva a quest’ultimi difficile gestire i propri stati senza il suo assenso e consenso. Controllava , tramite suoi membri altre confraternite popolari. Si poneva comunque al centro dello svolgimento di vari servizi religiosi. Ai primi del Seicento i confrati magister Petro Santacruchi (o Santacrueli ?) l’unico artigiano inserito all’interno della compagnia e fondatore della stessa diversi anni prima), Joseph Fisauli (il cui padre aveva acquistato il feudo di Casalgiordano tra Quattrocento e Cinquecento, e definito nei documenti coevi magnifico ), Jo Paulo De Puchio, Antonio di Clara esigerono una somma a titolo di diritto di far suonare la campana (Jure campane sonata) in occasione di funzioni religiose. Il Fisauli aveva il ruolo (rivestito forse insieme agli altri ) di procuratore della Cappella del SS,Corpo di Cristo. Pagavano tale somma i fedeli beneficiari di particolari servizi spirituali. Ad esempio, poteva essere il caso di Vincenzo Salerno, fratello del noto pittore Giuseppe , che richiese un siffatto servizio per una funzione relativa alla moglie defunta25.

Organizzazione

Il sistema elettivo delle cariche sociali era regolato dallo Statuto (Capitoli della compagnia). Le cariche principali erano quella di rettore (governatore), di tesoriere cappellano, di visitatore dei poveri , di congiunto (in numero di due) .Era previsto il sistema del bussolo. Era indicata il giorno della festa del Corpus Domini dai vertici del sodalizio (il Rettore , i precedenti rettori e il Congiunti o vice-rettori e le altre cariche associative prima indicate) una terna di nomi riconducibile ai confratelli più autorevoli e stimati- Si sorteggiava un nominativo fra i tre candidati. Chi veniva estratto veniva eletto rettore. C’era una clausola di salvaguardia per il buon funzionamento del sodalizio. La carica di rettore era annuale (come le altre principali cariche) per evitarne-almeno nelle intenzioni- il deragliamento verso situazioni di nepotismo, corruzione e di sfrenati favoritismi. Nel 1722, ad esempio, fu eletto a rettore della compagnia don Nicolò De Salvo. Nel 1725 la carica fu occupata dal notaio Antonio Li Destri e nel 1728 da d. Nicolò De Salvo. Chi ricopriva questo ruolo doveva rappresentare la compagnia in tutte le incombenze come sua suprema guida e suo vertice supremo. Il rettore era affiancato da due collaboratori o consulenti (una sorta di vicerettori) chiamati “congiunti”. Questi ultimi dovevano rendersi disponibili per ogni sorta di fabbisogno della Compagnia. In particolare, avevano facoltà di esigere da terzi le somme dovute a vario titolo alla Compagnia (ad es.gabelle, censi ecc.). I compiti di gestione della cassa del sodalizio in cui affluivano diversi proventi e rendite era appannaggio dei compiti del tesorerie. Questi doveva firmare insieme al Rettore le polise (sorta di mandati di spesa o pagamento). Questi <> come rendite e soggiogazioni. Queste dovevano essere messe sul mercato locale per essere distribuite a terzi tramite procedura d’asta al fine di garantire un censo (un canone o interesse ). Le rendite della compagnia venivano usate pure come titoli finanziari da rivendere a terzi a un certo interesse. In altri termini dai beni immobiliari se ne potevano ricavare degli interessi. L’esercizio di funzioni spirituali, naturalmente, era da riferire al cappellano. Si trattava di una carica di durata annuale. Egli doveva celebrare settimanalmente messa (la domenica) nel corso della quale i fedeli erano invitati a versare un obolo, delle offerte in denaro. Le necessità di siffatti servizi cultuali dovevano essere sottoposti alla supervisione del Rettore che riceveva dal procuratore della confraternita le istanze del cappellano. La gestione di assistenza sociale verso i disagiati era ovviamente appannaggio della figura del visitatore dei poveri. L’organizzazione interna configurava un vero e proprio club esclusivo a sfondo religioso-assistenziale. L’esclusivismo era riferibile al tentativo di autoregolamentazione degli spazi pubblici e di potere di certe famiglie con un rispettabile status in modo da stabilire delle linee di demarcazione basate sulla distinzione sociale. In questo modo, come detto, si ponevano le basi per costituire gruppi e soggetti che alimentavano il mondo nobiliare inteso in senso lato. Per far parte del sodalizio era necessario essere figlio di gentiluomo. C’era anche un limite anagrafico per l’ammissione costituito dall’aver compiuto almeno 25 anni. Erano bandite liti e contestazioni interne. I fratelli che avessero fatto causa alla compagnia sarebbero stati espulsi d’ufficio26 . Tra i compiti assistenziali citiamo anche l’esercizio di servizi funebri che dovevano essere garantiti ai consociati. Sui confrati vigeva l’obbligo di comportarsi secondo i precetti divini, e in particolare dovevano essere obbligati a visitare gli infermi ed essere servili verso la compagnia. Dovevano partecipare alle processioni. Vigeva sui confrati una sorta di dovere di riunione, anzichè un diritto a riunirsi. Un fatto relativo al 1728 va sottolineato, stavolta compare tra i componenti del sodalizio un barone nella persona di Giuseppe Maria che aveva da poco preso il titolo feudale di Alburchia e Capuano27.Questo a conferma di una nobiltà di rango inferiore , che si radunava presso la compagnia, rispetto al potere feudale. In quell’anno furono istituiti per regolamento i deputati della cera, materia preziosa per gli usi cerimoniali che se ne faceva in quell’ambito.

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