Testo composto, rilegato e stampato presso F.lli Dinolfo, Corso Umberto, Gangi (Pa)
In data 20-6-2013



Patrimonio e storia della Compagnia dei “Bianchi” di Gangi (XVI-XX secolo)
di Mario Siragusa

parte I


(Il testo è da considerarsi in via di revisione)

Introduzione: le origini

Nel 1572 a Gangi, centro feudale del marchesato dei Ventimiglia, venne costituita una organizzazione solidaristica, a sfondo laicale e religioso, composta da soggetti che guidavano la comunità gangitana, occupando importanti cariche istituzionali (l’amministratore comunale, giurato, giudice ), e che erano dotati di discrete o, più o meno, consistenti fortune patrimoniali. Alcuni di essi stavano per fare il salto nei ranghi della nobiltà feudale. Vediamo chi ne furono i fondatori: Giovanni Federico Fisauli, Blasi De Clara (De Chiara), Giovanni(Johannes) De Brando, Vincenzo De Marco, Baldassar Castiglio, Andrea Pinello,Mario Notarerigo, Giuseppe Li Volsi, Presti Giuseppe,Pietro Di Gangi,Vincenzo Fisauli, Paolo Milletarì, , Pietro De Puccio, Vincenzo De Marco, Antonino Fisauli, Giuseppe Spalletta, Vincenzo De Brando ed altri. Solo qualcuno di questi aveva ottenuto qualche riconoscimento ufficiale da parte dello Stato tradottosi nell’acquisizione di titoli feudali, in particolare i Fisauli, poiché il loro padre aveva acquistato il feudo di Casalgiordano. Ma nessuno di loro viene indicato formalmente negli atti notarili come barone (o marchese). Una loro sorella invece aveva sposato un barone (Romeo di Melilli). Qualche altro, invece, era sulla soglia del baronaggio, lavorandoci ed attivandosi ( poco o molto tempo dopo) la sua famiglia, finalmente, avrebbe acquisito dei titoli feudali siffatti. Altri avevano un rango inferiore rispetto ai magnifici. Si trattava dei nobiles che non avevano assolutamente titoli baronali o comitali. Fu Re Alfonso a dare <<rappresentanza sul piano amministrativo locale a categorie sociali, economiche e professionali, che quasi spontaneamente, si vanno organizzando intorno a grumi di interesse economico e politico creati dalle richieste finanziarie del re stesso>>1. Si trattava di quei gentiluomini definiti da Matteo Gaudioso, nobiltà civica. I componenti di questi ceti avevano acquisito un minimo di autorevolezza per qualche facoltà patrimoniale da loro detenuta, distinguendosi ed emergendo dagli strati inferiori e popolari. In definitiva, questi elementi costituivano una sorta di nobiltà civica senza titoli feudali veri e propri. La loro forza stava nella ricchezza mobiliare e nel controllo degli uffici feudali e/o pubblici. La costituzione della Compagnia dei Bianchi si inquadra in quei processi sociali e istituzionali che nel XVI secolo avevano portato ad una chiusura oligarchica della vita sociale e politica .

Antichi massoni a Gangi, disegno di G. A. Scarpa
"Antichi massoni a Gangi" disegno di G. A. Scarpa.

Il ceto mezzano, tale perché a metà strada tra nobiltà feudale e strati bassi della società, tese a chiudersi in se stesso, tendenzialmente escludendo dalle cariche civiche i ceti popolari. Soggetti siffatti costituirono degli elenchi , le cosiddette “mastre nobili”, che erano la base giuridica per rivestire delle cariche istituzionali, pubbliche o private all’interno dell’Università2. Chi non era incluso in tali elenchi non aveva il diritto e la facoltà di andare ad occupare ruoli ed incarichi di questo tipo. Ed inoltre, evidentemente, aveva meno forza nel quadro dei rapporti privati e di interesse comunitario.

I rapporti con le istituzioni civiche

I rapporti tra la compagnia dei Bianchi e il Comune (l’Università) erano molto stretti ed organici. I membri della stessa, alternativamente, andavano, dal Cinquecento in avanti, a gestire il governo di quella città feudale. A riprova di tali rapporti, citiamo sia la composizione annuale della locale giurazia (occupata da tali personaggi) sia il contributo monetario che annualmente la loro confraternita elargiva agli uffici giudiziari locali3. Il rettore annualmente poteva in perpetuum:<<nominare li Maestri notari ed a loro beneplacito eligere e nominare li Maestri Notari tanto della Corte Criminale quanto della corte civile di questa suddetta città>>4. In questo modo la Confraternita non solo si faceva riconoscere delle prerogative di tipo feudale, pur con l’approvazione di poteri concorrenti, ma si poneva (grazie anche alla sua funzione di <<assistere a ben morire>> i condannati a morte e genericamente anche le altre tipologie di carcerati) come un importante centro di potere tra legalità ed illegalità. Come emerge da una nostra precedente ricerca relativa agli anni in cui vissero gli Zoppi di Gangi, spesse volte la confraternita nella persona di alcuni suoi più significativi rappresentanti, riuscì a far scarcerare , previo pagamento di una somma, diversi delinquenti , tra cui c’erano anche rei di alto bordo loro colleghi e “fratelli”5. Citiamo ora qualche dato documentario relativo alle operazioni finanziarie dei Bianchi che avevano come punto di riferimento finanziario il Monte di pietà . La Compagnia aveva acquisito diritti reali su parecchie proprietà immobiliari locali. Le affittava o faceva pagare un canone come censo agli inquilini di case e terre. La questione passava attraverso il locale Monte di pietà gestito da quella confraternita. Questa poteva, come qualsiasi soggetto privato con qualche disponibilità patrimoniale, vendere ed acquistare diritti finanziari su case e terreni. In questo gioco speculativo era coinvolta pure l’Università di Gangi. C’era un vero mercato finanziario di titoli creditizi . A titolo esemplificativo riportiamo quanto segue. L’onorabile (honorabilis) Domenico Garofalo decise di cedere alla confraternita 6 onze derivate da un’azione di recupero giudiziario in sede civile circa un credito vantato su Giuseppe e Matteo Pane(?)6. Nel Seicento sappiamo che quest’ultima ogni anno percepisse dei redditi da attività finanziarie suddette. Una quota fissa, in base ai diritti immobiliari di cui godeva, veniva versata al locale monte di pietà. A conferma di ciò, ad esempio, sappiamo che il procuratore del monte (Pietro Paulo Vitale, probabilmente discendente da quel Francesco Vitale originario di Polizzi che nel XVI sec., andò a risiedere a Gangi)7, nel mese di dicembre, percepiva per conto di quell’istituto creditizio 3 onze (sul conto di un totale di 24) dall’Università per contratti di vendita e soggiogazioni varie su case e terreni8. Il ricorso ai procuratori era una pratica piuttosto invalsa anche allora. Naturalmente, la nostra Compagnia non costituiva un’eccezione . Ai primi del Settecento per il disbrigo di affari correnti, come l’esazione di censi e rendite vantate dal Monte, i Bianchi nominarono vari procuratori, tra questi Joseph De Maria appartenente a una famiglia che poco tempo dopo avrebbe raggiunto il tanto agognato titolo di barone9 . Sulle case come sugli altri beni immobiliari potevano gravare delle ipoteche, da cui derivavano dei diritti di riscossione sul patrimonio immobiliare da parte di terzi. Ad es. nel 1701 il procuratore della compagnia, previo consenso dell’allora rettore Salvatore Ragusa, riscosse una rata soggiogataria da due privati cittadini (il sacerdote don Mario Li destri e il magister Paolo Ventimiglia) pari a 6 onze . Si trattava di una somma da pagare come censo sulla compravendita di una casa. Questo è uno tra i tanti esempi di diritti finanziari che il locale monte di Pietà esercitava sull’economia immobiliare gangitana10 . Nel 1701 la confraternita era composta dai seguenti confrati:sacerdote Onofrio Giangallo (che ricoprì la carica di arciprete per diversi anni), Vincenzo Vitale, il sac.Francesco Antonio Vitale, il sacerdote Filippo Puccio (di una ricca e influente famiglia nobiliare paesana), il notaio borghese Domenico Paradiso (al quale la copertura di cariche nella amministrazione locale conferiva un alone di nobiltà; allo stesso modo dei suoi colleghi, le cui famiglie riusciranno però ad ascendere più tardi al titolo baronale), il notaio Benedetto Ragusa, il citato Joseph De Maria, Joseph Caponnetto, Joseph Puccio, Vincenzo e Joseph De Salvo (discendenti da un nobilis cinquecentesco)11. I rapporti amicali, di colleganza, di parentela che animavano i membri della compagnia, si potevano esprimere attraverso la mutua solidarietà . Fra gli innumerevoli esempi che si potrebbero fare ne ricordiamo solo qualcuno. Tra il 1707 e il 1708 il citato Joseph De Salvo assistette la moglie di Francesco Matta presso la curia capitaniale di Gangi per trattare una contrastata vendita di terra (la controparte era Joseph Muccio, appartenente storicamente ad una famiglia relativamente in vista in quel paese o borgo)12. Allora questi, però, era un aderente alla società religiosa del SS.mo Sacramento che aveva la propria sede presso la Chiesa Madre. Quella confraternita, più di un secolo dopo, avrebbe attirato le attenzioni delle autorità di polizia borboniche per sospette mene contrarie all’ordine pubblico, in un clima avvelenato nei rapporti tra alcune confraternite. Un clima condito da accuse, sospetti, delazioni, risse e tumulti in occasione delle processioni13. Ma torniamo ai primi del Settecento. Sempre in quegli anni il medesimo De Salvo assistette, come procuratore e amico, la signora Matta ( i cui cari erano iscritti alla nobile compagnia), a vendere a Rosa De Maria una <<clausuram>> (chiusa) che si trovava in contrada Nocita. La signora agiva in vece del marito (Vincenzo, personalità molto in vista che aveva ricoperto la carica di Tesoriere comunale nel 1694 ed altri incarichi istituzionali) che qualche anno prima, in quella campagna ubicata nei pressi di Gangi fu teatro di un agguato in cui morì il sacerdote De Augustino14. Tra gli accusati del delitto c’era stato proprio un consanguineo della Matta per cui, questa era costretta a recuperare soldi per togliere dagli impicci il marito, che nel frattempo era stato bandito dalle autorità del tempo e poco dopo morì. Le proprietà stabili dei Matta e i beni mobiliari vennero provvisoriamente sequestrati. Molti affari e compravendite di piccole e grandi (case , terre, società armentizie e agricole ecc.) si svolgevano all’interno del mondo dei confrati in esame. In un biglietto senza data, conservato in uno dei registri dei primi decenni del Settecento, il notaio Antonio Li Destri ricevette una raccomandazione da D. Antonino Bongiorno <<suo servo e compare>>15 (così si scrive nel documento) per far assegnare una gabella di un feudo in favore dell’abbate Vitale. D. Antonino Bongiorno doveva discendere in linea diretta o indiretta da un magister, Andrea Bongiorno, molto ben ammanigliato col potere comunale. Nel 1579, questi, pur esercitando il mestiere di muratore (faber murarius), aveva ottenuto la gabella della castellanìa di Gangi insieme al maestro Andrea Citati(fabbro ferraio), da cui dovettero discendere i notai Citati esercitanti a Gangi nel Seicento16. I due magistri sembravano essere in buoni rapporti con un’alta personalità dell’Inquisizione (che fu loro procuratore generale)17 e membro della compagnia dei Bianchi proveniente dalla Spagna (e con base a Palermo) e abitante a Gangi: Baldassar Castiglio alle origini di una nobilissima e potente schiatta. Baldassarre era affittuario e secreto della terra di Gangi. Attivi erano anche i confrati De Maria nel campo commerciale e della gestione patrimoniale dei feudi. Nel 1694 i due secreti della terra di Gangi (il barone di Alleri e Francesco Antonio De Maria] vendettero una grossa partita di formaggio pecorino prodotta dalla mandria di ovini che stazionava in un loro feudo[Alleri e Mustomanco] a un ricco mercante del regno di Napoli18. La compagnia si presentava come un comitato di affari e di potere in grado, anche grazie al controllo esercitato sulle istituzioni locali, di rapportarsi, sulla base di una posizione di forza, nei confronti dell’aristocrazia declinante. Nel 1600, a fronte di una progressiva ed inarrestabile crisi economica dei marchesi Ventimiglia, Giuseppe Maria, Vincenzo Notararigo, Giuseppe Di Marco, Troiano De Puccio [pare che poi la medesima famiglia , o un suo ramo, andasse a vivere a Petralia; dei Puccio in quest’ultimo paese divennero baroni), notar Ieronimo Errante ricevettero dal principe di Castelbuono, delle somme cospicue sul diritto di esazione sulla rendita di alcune gabelle19.Sembra, dal relativo atto, che il principe fosse stato beneficiario di un prestito erogato da quel gruppo di nobili confrati.Una delle gabelle era gestita da Matteo Lo Sgadaro, una famiglia, la sua, che successivamente avrebbe fatto parlare di sé, in quanto sarebbe poi ascesa al rango baronale. Ricordiamo che la Compagnia per statuto era esentata dal pagamento di alcune gabelle.



CdB parte2



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