UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PALERMO
Facoltà di Scienze MM. FF. NN.
Corso di Laurea in Analisi e Gestione Ambientale

Dipartimento di Scienze Botaniche



Tesi di laurea di: Pierina Conoscenti
Relatore: Chiar.mo Prof.re Vincenzo Ilardi

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ANNO ACCADEMICO 2011- 2012


INTRODUZIONE

Premessa
La presente tesi di laurea è inerente ad una indagine di campo finalizzata alla conoscenza della componente floristica e vegetazionale insediata all’interno di due siti di rilevante interesse archeologico, ricadenti nel territorio comunale di Gangi, rappresentati da Monte Alburchia e dal complesso Gangivecchio-Monte S. Calogero. Quest’ultimo, incluso tra i “Siti di Interesse Comunitario” [SIC (ITA020041) Monte S. Calogero (Gangi)], comprende anche il Boschetto di contrada Mingarda/Soprano.
L’indagine prende origine dalla constatazione che la distribuzione delle specie e delle comunità vegetali in genere non è mai casuale ma risulta sempre correlata a motivazioni di ordine fitogeografico, storico oltre che ecologico. Si viene, quindi, a creare una intima correlazione tra le condizioni ambientali specifiche del sito indagato e le specie e le comunità che sotto questi regimi ecologici trovano le condizioni idonee allo svolgimento del ciclo ontogenetico e all’insediamento di specifiche fitocenosi (Odum, 1988).
Poiché ogni specie si sviluppa in un ambiente preferenziale è possibile considerarla come bioindicatore delle condizioni ecologiche delle stazioni nel quale viene rinvenuta.. Con il termine di bioindicatore si intendono quegli organismi che con la loro presenza-assenza possono essere utilizzati per individuare i valori di un determinato parametro ambientale. L’insieme di azioni mirate alla individuazione dei siti e dei resti archeologici sepolti, attraverso l’osservazione di anomalie nella distribuzione o nella crescita di specie e di intere comunità vegetali in corrispondenza della presenza, in ambiente ipogeo, di resti archeologici quali murature o resti di pavimentazioni più o meno affioranti, rientra nel campo della prospezione archeologica, ossia in una delle applicazioni della biologia vegetale. Frequentemente nelle aree archeologiche, si possono osservare delle modificazioni delle comunità vegetali, dovute all'intervento dell'uomo, come risposta a discontinuità del suolo, che danno origine a tracce specifiche (marks), ed è questa la base che permette di utilizzarle come bioindicatori nelle prospezioni di superfice in campo archeologico.
La prospezione archeologica è fra le applicazioni più antiche e più note mirate all'individuazione di resti archeologici sepolti per una ricostruzione ambientale.
Strutture ed opere murarie interrate provocano, nei siti archeologici, una discontinuità nel terreno che influenza la vegetazione che vi si insedia sopra, in misura inversamente proporzionale alla profondità in cui a cui si trovano i manufatti. Il fenomeno si manifesta sia a livello floristico, attraverso la presenza-assenza sia a livello di specie vegetali che di fitocenosi, oppure attraverso variazioni cromatiche o delle normali manifestazioni fenologiche quali anticipi o posticipi della fioritura, della fruttificazione, della durata del ciclo ontogenetico o ancora attraverso anomalie manifeste nella struttura, nella densità e nella crescita della vegetazione in genere. Questi fenomeni evidenziano, inoltre, marcate differenze legate alla stagionalità, particolarmente vistose nei territori in cui la disponibilità di risorse idriche va incontro a significative variazioni, come si verifica nella regione mediterranea, dove questi fenomeni durante la stagione primaverile, man mano che la disponibilità di acqua diventa un fattore limitante per lo sviluppo della vegetazione, diventano più facilmente osservabili (Caneva & Ceschin, 2005). Su questa base specie e comunità vegetali costituiscono dei validi bioindicatori in risposta alle discontinuità che si presentano a livello di substrato.
Nel XV secolo, studiosi inglesi e francesi cominciarono ad osservare corrispondenza tra anomalie nella distribuzione e nella crescita della vegetazione e la presenza nel sottosuolo di resti archeologici, quali murature o pavimentazione più o meno affioranti. Le molteplici osservazioni fatte in campo sono servite da guida agli archeologi che nella prima metà del XX secolo, avvalendosi della fotografia aerea che, permettendo una visione dall'alto del territorio, ha consentito agli archeologi di individuare più facilmente discontinuità vegetazionali riconducibili a possibili resti archeologici sepolti (Caneva., De Marco., 1990). Strutture murarie interrate provocano una discontinuità nel terreno che conseguentemente influenza la vegetazione sovrastante in misura inversamente proporzionale alla profondità dei reperti.
Il fenomeno può manifestarsi a livello floristico con la presenza-assenza di specie vegetali, o fitocenosi, oppure con variazioni cromatiche, irregolarità fenologiche, o anomalie nella struttura, nella densità e nella crescita della vegetazione, dove la presenza di murature determina crescita vegetazionale più stentata, più lenta ed un più facile ingiallimento in condizioni di stress idrico e questo in relazione al substrato più favorevole. Al contrario la presenza d avvallamenti, determina condizioni più favorevoli per la crescita della vegetazione che pertanto risulterà più densa e rigogliosa, ma se la profondità degli interrati supera il metro il fenomeno subisce un'attenuazione, che non sempre permette una chiara visualizzazione.
Un ulteriore ausilio agli archeologi è offerto dall''Archeobotanica che gli consente di disporre di elementi diversi da quelli utilizzati dalle discipline storico/archeologiche e con esse complementari per la comprensione degli ambienti del passato. Ed anche i botanici ne traggono un valido supporto per le ricerche floristiche e fitogeografiche, per la conoscenza delle componenti che hanno contribuito nel tempo e che contribuiscono ancora oggi a determinare la biodiversità di un' area geografica (Preston et alii., 2004).
Negli anni '30 l'illustre naturalista Blanc intraprese ricerche multidiscliplinari integrate con diversi specialisti di discipline naturalistiche. La collaborazione stabilita fra archeologi e botanici, oltre che con altri biologi, legata alla crescente convinzione della necessità di situare gli studi storico-archeologici nel contesto naturale di ciacun sito, consente oggi di proporre per molte zone una ricostruzione generale delle caratteristiche ambientali del passato e di evidenziarne, utilizzando serie di strati datati, le variazioni avvenute nel tempo, imputabili al clima, all'uomo, più spesso, ad entrambi.
La stretta correlazione fra le diverse specie e l'ambiente era stata osservata già da Teofrasto, che, non a caso, è considerato dagli storici della botanica il più antico padre dell'ecologia (Amigues, 2002). Riferimenti in tal senso si trovano nella letteratura romana fino ad arrivare alle osservazioni dei grandi esploratori e naturalisti e scienziati dell'epoca moderna fra i quali va ricordato in particolare lo scienziato tedesco Ernst Haechel che per primo coniò il termine di ecologia. Le specie e comunità spontanee presenti in un territorio non sono mai casuali ma, a parte, motivazioni biogeografiche e storiche peculiari di ogni contesto geografico, esse sono determinate dalle caratteristiche sia climatiche che edafiche del sito, che selezionano le specie con esse compatibili. In funzione dell'ampiezza ecologica delle specie, cioè della loro più o meno spiccata preferenza per specifiche condizioni ambientali, in ogni luogo sono quindi presenti solo quelle che trovano condizioni idonee per il loro sviluppo. L'importanza che gli studi botanici nel loro insieme possono assumere nei contesti archeologici viene particolarmente sottolineata, in alcuni contributi specifici (Schmidt,1982; Couderc,1983;1985; Piccarreta,1987; De Marco,1990) che hanno mostrato per alcune aree archeologiche della Francia, dell'Italia e del Pakistan, la possibilità di usare come bioindicatori specie e comunità vegetali in grado di rispondere in maniera significativa, sia da un punto di vista qualitativo che quantitativo, alla presenza di discontinutà del substrato.
Il caso del sito archeologico di Moen-jo-doro, in Pakistan, dove il rinvenimento di alcune specie calciofile e in particolare di Capparis decidua, è stato messo in relazione alla presenza e alla distribuzione sotterranea di antiche costruzioni. In territorio italiano l'interpretazione di discontinutà edafiche rilevabili da cambiamenti della vegetazione ha permesso di individuare numerosi siti archeologi come alcune porzioni delle necropoli etrusche di Tarquinia e le ville romane di Centocelle, di Santa Palomba e alcuni quartieri dell'antica città di Pestum.
Differenze nella copertura vegetale visibili da immagini aeree, in grado di evidenziare la differente riflettanza fogliare, sono state utilizzate anche per individuare antiche città e monumenti Maya in Centro America in stato di tale abbandono da essere totalmente sommersi dalla vegetazione forestale. Interessanti correlazioni utili sia nelle prospezioni del sottosuolo, sia nella interpretazione dei diversi parametri ambientali sono emersi dagli studi floristici e vegetazionali eseguiti in diversi siti archeologici romani. Variazioni nella composizione floristica, di minor impatto visivo, ma rilevabili sulla base di un attento rilievo botanico, come le weed marks hanno messo in evidenza diverse discontinutà nella copertura vegetale di superfici pavimentali come nel caso del settore occidentale della Domus Area e delo Stadio Domiziano al Palatino.
In conclusione le varie “anomalie vegetazionali” possono fornire un utile chiave di lettura del sottosulo, che possono guidare gli archeolgi nell'interptetazione del sottosuolo e nella scelta del punto in cui avviare gli scavi.
Riassumendo, un attento monitoraggio della flora e vegetazione nei contesti archeologici assume una rilevanza non trascurabile in quanto si osservano in questi contesti degli incrementi della biodiversità non trascurabili da un punto di vista naturalistico.


1 I Bioindicatori
Poichè ogni specie si insedia preferenzialmente all’interno di ambienti con caratteristiche ecologiche proprie, se ne deduce che le stesse possono essere utilizzare come indicatori biologici delle condizioni che mediamente insistono all’interno di ogni superficie indagata, ossia specie o comunità vegetali che con la loro presenza o assenza possono essere utilizzati per individuare determinati parametri ambientali.


1.1 Prospezione archeologica
Fra le applicazioni della biologia vegetale va ricordata la prospezione archeologica, ossia l’insieme di azioni mirate alla individuazione dei siti e dei resti archeologici sepolti, attraverso l’osservazione di anomalie nella distribuzione o nella crescita di specie o di intere comunità vegetali in corrispondenza della presenza, in ambiente ipogeo, di resti archeologici quali murature o resti di pavimentazioni più o meno affioranti.
L’applicazione in campo archeologico è rivolta soprattutto alle prospezioni di superfice e si basa sul fatto che la vegetazione coltivata o spontanea, anche se alterata dall’intervento dell’uomo, risponde in maniera significativa alla presenza di discontinuità nel suolo, dando luogo a specifiche tracce (marks).
Nei siti archeologici strutture ed opere murarie interrate provocano, infatti, una discontinuità nel terreno che influenza la vegetazione che vi si insedia sopra, relazionata alla profondità in cui si trovano i manufatti. Questo fenomeno si manifesta sia a livelo flogistico, attraverso la presenza-assenza sia a livello di specie vegetali che di fitocenosi, oppure attraverso variazioni cromatiche o delle normali manifestazioni fenologiche quali anticipi o posticipi della fioritura, della fruttificazione, della durata del ciclio ontogenico o ancora attraverso anomalie nella struttura, nella densità e nella crescita della vegetazione in genere. Questi fenomeni evidenziano, inoltre, marcate differenze legate alla stagionalità, particolarmente vistose nei territori in cui la disponibilità di risorse idriche va incontro a significative variazioni, come si verifica nella regione mediterranea, dove questi fenomeni durante la stagione primaverile, man mano che la disponibilità di acqua diventa un fattore limitante per lo sviluppo della vegetazione, diventano più facilmente osservabili (Caneva & Ceschin, 2005). Su questa base specie e comunità vegetali costituiscono dei validi bioindicatori in risposta alle discontinuità che si presentano a livello di substrato. Si definiscono bioindicatori gli organismi che forniscono indicazioni sui valori dei parametri ambientali per essi condizionanti.
La possibilità di utilizzare una specie come bioindicatore dipende dalla sua ampiezza ecologica, in quanto più stretto è il suo range di tolleranza, e maggiore risulterà la precisione nell'indicare un valore del parametro ambientale che risulta essere condizionante. Non solo singole specie, ma anche associazioni vegetali e animali possono essere utilizzate come bioindicatori: inquesto caso l'informazione ricsvata risulta estremamente precisa, in quanto connessa direttamente agli spazi ecologici occupati dalle singole specie. Tra i campi di applicazione di questo tipo di studi, che generalmente rientrano nelle operazioni di monitoraggio ambientale effettuate su base biologica si ricordano le prospezioni archeologiche di superfice basate sul fatto che la vegetazione coltivata o spontanea, anche se alterata dall'intervento dell'uomo, risponde in maniera significativa alla presenza di discontinuità nel suolo, dando luogo a specifiche tracce (Caneva, 2002) .
La presente tesi di laurea costituisce un tentativo di trovare delle correlazioni codificabili tra la componente biologica vegetale vascolare, e la presenza di resti archeologici interrati. Il metodo, poco utilizzato finora in Sicilia, potrebbe trovare uso per quei siti le cui informazioni sfumano tra la storia e la preistoria e per i quali l'interramento conseguente al notevole intervallo di tempo trascorso risulta essere talmente elevato da influenzare solo marginalmente la componente biologica soprastante.
Le discontinutà edafiche rilevabili attraverso eventuali variazioni nella composizione e nella struttura della vegetazione, spesso a basso impatto visivo, possono contriburie alla individuazione di importanti siti archeologici, particolarmente quando sono di limitata estensione per le quali sono ridotte le possibilità di ricorso alle foto aeree (Caneva & Ceschin, 2005) .
Il metodo sembra evidenziare notevoli potenzialità applicative, anche se necessita di una messa a punto specifica per il territorio siciliano per il quale i dati bibliografici sono molto limitati se non assolutamente inesistenti. Per tali motivi il presente lavoro rappresenta per il territorio siciliano uno dei primi timidi tentativi di prospezione archeologica attraverso il rilevamento della componente floristica e vegetazionale, ed in quanto tale, un contributo assolutamente originale.

1.2 I Rapporti tra soprassuolo vegetale e prospezione archeologica
Fin dal XV secolo testi di archeologia riportano osservazioni che hanno permesso l'individuazione di città e di murature sepolte. Oggi l'impiego di fotografie aeree permette di leggere con maggiore chiarezza le eventuali discontinuità nella copertura del manto vegetale o gli allineamenti anomali. Fattori quali la profondità dei reperti, il tipo di suolo, la stagione e il clima condizionano la possibilità di rilevare queste tracce, in quanto incrementano o riducono le variazioni a livello dei parametri pedologici. Nel caso di vegetazione spontanea o semispontanea le discontinuità del sottosuolo determinano una crescita differenziale della vegetazione sovrastante, che si manifesta con la presenza di specie diverse limitate a zone molto circoscritte (weed marks), indicando chiaramente un'anomalia del sottosuolo. Le specie che prediligono elevati valori di determinati sali minerali, provenienti dalla lisi dei materiali lapidei (ad es., calcio o silice), si ubicano nelle zone in cui le murature sono più superficiali.
Nella zona archeologica di Mohenjo Daro (Pakistan), ad esempio, si è osservato che la presenza di Capparis decidua, specie chiaramente calciofila, presenta una distribuzione non uniforme e allineamenti anomali rispetto alla normale dinamica di sviluppo; appare quindi strettamente legata alla presenza di murature nel sottosuolo. Analogamente, nella zona archeologica di Indre-et-Loire (Francia) è stato possibile ricostruire il percorso di una via romana completamente interrata, formata da grandi blocchi silicei, osservando l’anomala distribuzione di Erica scoparia che, essendo una specie acidofila, limita la sua presenza a quelle specifiche condizioni podologiche. Anche in contesti agrari le specie infestanti possono indicare con la loro presenza o con il loro maggiore rigoglio l’esistenza di anomalie del suolo; così lo sviluppo dei papaveri (Papaver spp.) è ridotto qualora ci sia affioramento di murature e il rigoglio vegetativo di ranuncoli (Ranunculus spp.) è maggiore ai bordi di strutture interrate. Nel momento delle loro vistose fioriture tali andamenti diventano molto evidenti.

Nel caso di campi coltivati, le tracce (crop marks) si manifestano con una maggiore o minore altezza e rigogliosità delle piante o con una variazione del colore. In generale, la presenza di murature o pavimentazioni stradali determina una crescita più stentata e un più facile ingiallimento in condizioni di stress, in relazione al substrato meno favorevole. Al contrario la presenza di fossati, in cui si ha generalmente un maggiore deposito di detriti alluvionali, un accumulo di sostanze organiche, un più cospicuo sviluppo della microflora e una maggiore ritenzione idrica dei suoli, determina condizioni più favorevoli per la crescita delle colture e, più in generale, della vegetazione. Il tipo di coltura e la sua fase di sviluppo sono altri fattori che condizionano la possibilità di leggere questi segni. Non tutte le piante hanno infatti le stesse esigenze ecologiche e la stessa tolleranza a condizioni di stress e la loro sensibilità varia in funzione dello stadio di crescita; il periodo più critico è generalmente quello in cui le radici arrivano in corrispondenza dello strato che crea discontinuità.
I risultati delle indagini di campo integrati con le conoscenze storico-archeologiche relative ai siti individuati, si ritiene possano fornire un utile contributo alla conoscenza delle risorse conservate all’interno del territorio indagato, che meriterebbero certamente una migliore ed adeguata valorizzazione. Il territorio di Gangi vanta, infatti, in virtù della particolare posizione geografica, una straordinaria ricchezza di peculiarità architettoniche, culturali e ambientali le cui radici si perdono nella notte dei tempi storici e si intrecciano con il mito e la leggenda.
Conoscere e valorizzare il proprio territorio costituisce oggi una priorità assoluta. Grazie alla teoria post-moderna dell'Archeologia del paesaggio, quest'ultimo viene ormai considerato un artefatto umano con un ruolo attivo nelle trasformazioni culturali (Farinella, 2010). Superato il rapporto gerarchico tra paesaggio e uomo, le varie discipline scientifiche e umanistiche acquisiscono un comune campo di lavoro, integrandosi nella comprensione delle dinamiche della storia dell'uomo.
Nuove scienze affiancano l’archeologia nel suo tentativo di ricostruzione del passato che è anche comprensione della nostra identità: geografia, ecologia, geologia, botanica, e tutte quelle discipline scientifiche che ci permettono di ampliare il nostro sguardo sul territorio che abitiamo.










2 Area di Studio
Il presente studio, come si è già accennato, riguarda il biomonitoraggio della componente floristica e vegetazionale ospitata nei siti archeologi di Alburchia e Gangivecchio, nel S.i.C. Monte S. Calogero e l'annesso boschetto di contrada Mingarda/Soprano, presenti nel territorio di Gangi (Palermo).
Il territorio comunale di Gangi, ricade nella sezione N° 622030 della Carta Tecnica Regionale (scala 1:10.000), e nelle tavv. IGM n° 260 II NO Gangi, SO Villadoro, III NE Petralia Sottana in scala 1:25.000.


Fig. 1 Gangi – Vista panoramica

Gangi è un paese montano (1011 m s.l.m) topograficamente posto alle pendici orientali delle Madonie, quasi alla confluenza del massiccio con la catena dei Nebrodi e degli Erei. Adagiato a terrazze sul versante meridionale del monte Marone è isolato nel mezzo di due vallate, una a meridione solcata dal fiume omonimo che poi diventa Salso, nell'antichità chiamato Himera meridionale, e una a settentrione segnata dal torrente Rainò. Dalla cima del monte lo sguardo può spaziare libero verso l'orizzonte ed incontrare l'acrocoro di Enna, verso meridione, il maestoso cono dell'Etna verso oriente, e la sagoma delle isole Eolie timidamente definite verso settentrione nelle giornate limpide. L'altura è annessa ad un breve complesso di rilievi collinari denominati rupe Rossa (999 m s.l.m.), Balza di Pezzalonga (1056 m s.l.m.), e Monte San Calogero (1002 m s.l.m.).
La zone dove sorge l'attuale paese è stata abitata fin dalla preistoria. Nelle rocce di quarzarenite lungo la vallata del fiume Gangi sono state rinvenute tombe a grotticella risalenti al Neolotico. Sono visibili, anche dei resti di un grosso insediamento indigeno di stampo ellenico e di altri centri minori della stessa epoca. Ma nessuno di questi indizi sembra accertare l'ipotesi di presenza nel territorio delle antiche città di Engyon o Herbita.

2.1 Lineamenti Geologici
Dal punto di vista geologico il territorio di Gangi ricade nei depositi del Miocene Medio-Messiniano Inferiore con le “Calcareniti di Gangi” (Grasso et alii, 2009). Si tratta di una formazione terrigena e clastico-carbonatica informalmente denominata calcareniti di Gangi (cfr. formazione di Gangi di BARRECA et alii, 2007) caratterizzata da una litofacies conglomeratica prevalentmente basale, eteropica verso l'alto a una litofacies calcarenitica. La formazione, estesamente diffusa nel limitrofo Foglio 622 Gangi, relativamente al territorio del Foglio in esame, ovvero Foglio 610 Castelbuono, affiora esclusivamente nel settore settentrionale dell'abitato di Gangi con la litofacies calcarenitica. Si tratta di calcareniti a grana medio-grossa di colore giallo-rossastro e di calciruditi con abbondanti granuli di quarzo sub-arrotondato contenenti radiolariti e foraminiferi bentonici dei generi Amphistegina e Miogypsina , e con sottili livelli di marne sabbiose intercanalate.
Sono organizzati in strati spessi 20-25 cm e mostrano stratificazione incrociata a grande angolo.
Nella porzione basale è presente un intervallo calciruditico spesso circa 2 m con una ricca fauna di ostreidi. Nel limitrofo Foglio “Gangi” questa litofacies passa lateralmente a marne siltose grigio-azzurro e ad argille grigie, contenenti Praeorbulina glomerosa e Orbulina suturalis del Langhiano- Serravalliano (zona a Praeorbulina glomerosa s.1. - zona Orbulina suturalis-Globorotalia peripheroronda di IACCARINO (1985), e ad argille apicali con faune della zona a Globorotalia acostaensis di IACCARINO (1985), indicative del Tortoniano.
L'unità poggia in discordanza su argille a Spessore affiorante massimo 60 m, si tratta di un ambiente infra-circalitorale. L'età complessiva della formazione è del Miocene medio-superiore.

2.2 Inquadramento Territoriale e Ambientale
Il massiccio delle Madonie costituisce il secondo gruppo montuoso della Sicilia, dopo il complesso vulcanico dell'Etna, per altitudine ed estensione territoriale (Agnesi, Conoscenti, 2004). Esse rappresentano la porzione centro-occidentale della catena montuosa che si sviluppa lungo la costa settentrionale della Sicilia che costituisce la prosecuzione siciliana dell'Appennino calabro e che funge da area di raccordo tra la Catena appenninica e le Maghrebidi tunisine. Verso oriente le Madonie confinano con i monti Nebrodi, con il limite posto convenzionalmente lungo l'asse idrografico della Fiumara di Pollina, e come limite occidentale dell massiccio viene generalmente indicata la valle del Fiume Torto. Il limite settentrionale delle Madonie è rappresentato dalla costa tirenica, mentre quello meridionale viene genericamente posto lungo una fascia collinare posta a Sud degli abitati di Castellana Sicula, Petralia e Gangi, ed include quindi le porzioni di testata degli affluenti del Fiume Imera Meridionale (o fiume Salso). Tali rilievi collinari raccordano il gruppo montuoso delle Madonie al vasto Altipiano Solfifero che occupa la parte centro meridionale della Sicilia.
Nella Carta Geologica delle Madonie (Sicilia centro-settentrionale) compaiono formazioni di età compresa fra il Trias superiore ed il Miocene inferiore, che sono state raggruppate in unità stratigrafico-strutturali coeve, ma a differente evoluzione sedimentaria, sovrapposte tettonicamente le une sulle altre, ed indicate col termine di Complessi (Grasso., Lentini & Vezzani 1978). Il Complesso Basale, che costituisce l'unità più profonda, è caratterizzato da una successione calcareo-silico-marnosa con livelli calciruditi più sviluppati in corrispondenza del Trias superiore, del titonico e del Cretaceo medio e da depositi preflisciodi eo-oligocenici (Formazione di Caltavuturo ed Argille di Portella Colla), evolventi ad una potente alternanza argilloso-quarzarenitica inframiocenica (Flysch Numidico) con prevalenza ora di facies arenitiche ora di facies pelitiche.
Sopra le Argille di Portella colla giace tettonicamente la successione dolomitico-calcarea in facies di piattaforma carbonatica del Complesso Panormide, che a livello dell'Eocene-Oligocene presenta facies terrigene preflisciodi (Formazione di Gratteri) con intercalazioni quarza-arenitiche alla sommità. L'intervallo pelitico del Complesso Basale situato in posizione laterale e parzialmente soprastante al Complesso Panormide (Argille di Portella di Mandarini) è caratterizzato dalla presenza di blocchi di brecce calcaree (wildflysch) provenienti dalla falda panormide.
Sul Flysch Numidico, come anche sulle Argille di Portella Colla e localmente sulla Formazione di Gratteri, poggia tettonicamente il Complesso Sicilide, rappresentato da argille Variegate inglobanti estesi lembi di Flysch Numidico parautoctono e da formazioni calcareo-marnose (Formazione di Polizzi) ed argilloso-arenacee (Tufiti di Tusa e Flysch di Reitano).
Seguono verso l'alto limitati lembi di argille, calcari e gessi del Miocene superiore e di Trubi infrapliocenici, appartenenti al Complesso Postorogeno.
I depositi del Complesso Basale derivano da una sedimentazione verificatesi al margine settentrionale del “bacino imerese” con apporti detritici provenienti da adiacenti piattaforme carbonatiche. ( )
Agli inizi del 1800 le Madonie cominciano ad essere oggetto di indagini e ricerche scientifiche, svelando agli occhi degli scienziati le bellezze paesaggistiche e una grande ricchezza naturalistica. Lo straordinario patrimonio naturale delle Madonie ha reso necessaria l'istituzione di un'area protetta al fine di salvaguardarne l'inestimabile valore.
Con decreto dell'Assessore per il Territorio e l'Ambiente, il 9 Novembre 1989 viene istituito il Parco regionale delle Madonie. Vasto complessivamente 39.679 Ha, il Parco delle Madonie è il secondo parco regionale per estensione e presenta una grande diversificazione di ambienti e una notevole varietà di specie animali e vegetali; di cui molte, esclusive di questo territorio. La flora della Sicilia è caratterizata da un alto numero di specie endemiche, e le Madonie sono caratterizate dalla presenza di molte specie endemiche, di cui il raro endemismo di Abies nebrodensis con una trentina di esemplari ecc..
Il Parco regionale delle Madonie rappresenta una delle aree protette a maggiore biodiversità vegetale, sia nell'ambito del territorio italiano che di quello Mediterraneo. Si tratta di un territorio di notevole interesse scientifico e naturalistico che si configura come un ponte tra il continente africano, la penisola italiana e quella balcanica. La ricchezza degli habitat, determinata dalla diversità dei substrati geologici, dalla contrastata orografia e dalle millenarie attività antropiche di tipo tradizionale, unitamente a condizioni climatiche favorevoli, definiscono una moltitudine di ambienti che, nel loro insieme, esprimono una diversità biologica straordinaria.


2.3 Lineamenti climatici

La distribuzione delle comunità vegetali risulta strettamente correlata a vari fattori ecologici che interagendo tra loro creano le condizioni idonee all’inserimento di ben determinate comunità vegetali.
Un ruolo rilevante viene svolto dal clima, che assieme alla geomorfologia del territorio, è quello che maggiormente influenza la distribuzione delle comunità vegetali. Per tali ragioni risulta, dunque, indispensabile studiare e analizzare le principali caratteristiche del clima.
Lo studio delle condizioni climatiche, unitamente all’analisi della vegetazione e delle serie vegetazionali, hanno condotto all’individuazione di una nuova scienza ecologica denominata Bioclimatologia. Questa disciplina cominciò a diffondersi quando diverse ricerche portarono all’individuazione di strette connessioni tra i parametri climatici, soprattutto le temperature e le precipitazioni, con gli areali delle piante e delle formazioni vegetali. Ciò porta a definire la Bioclimatologia come la scienza che studia i rapporti esistenti tra il clima e la vita, RIVAS-MARTINEZ ( 2004).
Furono così individuate delle unità bioclimatiche, ad ognuna della quali corrisponde un determinato complesso vegetazionale. Numerose risultano essere le proposte metodologiche avanzate da diversi autori, indirizzate all’individuazione di indici da utilizzare per la classificazione bioclimatica della superficie terrestre.
Gli indici climatici sono delle particolari elaborazioni finalizzate a condensare, in uno o pochi valori, le caratteristiche climatiche di una località, ricorrendo a parametri meteorologici, rilevati strumentalmente, relativi all’andamento della temperatura e delle precipitazioni.
Tra gli indici più diffusi si ricordano quelli di De Martonne (1926), Emberger (1930, 1955), Thornthwaite (1948) e Bagnouls & Gaussen (1953, 1957).
Si tratta di metodi di classificazione caratterizzati da un numero ridotto di unità bioclimatiche che bene si adattano a situazioni inerenti a grandi territori o regioni, ma poco indicati per situazioni specifiche relative a superfici di estensione limitata, come il caso in oggetto. Per questi ultimi casi la verifica dei riscontri effettuati tra gli indici bioclimatici e la distribuzione delle formazioni vegetali, ha permesso di definire con maggiore precisione i limiti e i confini delle unità bioclimatiche (RIVAS-MARTINEZ, 2004, l.c.).



2.4 Termometria

La temperatura è uno dei fattori climatici più significativi che varia, da zona a zona, con l’altitudine e l’ esposizione.
La temperatura media annua registrata nella stazione di Gangi è pari a 13,9 °C, la media minima di 9,8 °C, e la media massima di 17,9°C.
Le temperature medie mensili variano da un minimo di 3,3 °C nel mese di gennaio, aumentano gradatamente fino ad un massimo di 28,1 °C nel mese di agosto, che risulta essere il mese più caldo dell’anno.
La curva delle temperature medie massime fa registrare valori compresi tra 8,8 °C a gennaio e 28,1°C ad agosto.
Mentre dalla curva delle temperature medie minime si evince che i valori minimi si registrano a febbraio con 3,1 °C mentre quelli massimi ad agosto con 17,6 °C.
Accanto alle temperature medie, molto importante risulta essere l’escursione termica giornaliera, cioè la differenza tra temperatura massima e minima nelle 24 ore, che nel nostro ambiente assume valori assai elevati a causa del fenomeno di inversione termica che si verifica con molta frequenza nei fondovalle.


2.5 Pluviometria

Altro fattore climatico di primaria importanza è la pioggia. Di tale fenomeno bisogna considerare alcuni elementi essenziali ed in particolare la quantità totale, la frequenza, l’intensità e la distribuzione nel tempo.
I dati considerati, relativi alla stazione pluviometrica di Gangi, riguardano le precipitazioni totali mensili ed annue registrate nel periodo 1955-1987 in correlazione con i giorni piovosi.
Il valore medio annuo delle precipitazioni è stato di 629,7mm.
I giorni piovosi medi annui sono risultati 72. Le precipitazioni medie mensili variano da un minimo di 3.9 mm a luglio ad un massimo di 101,1mm a dicembre.
La maggior quantità di pioggia si ha nei mesi che vanno da novembre a gennaio con valori medi di 90,63 mm., distribuiti in 30 giorni di pioggia.
Oltre alla temperatura e alla pioggia, altri fattori climatici interessanti sono la neve e le precipitazioni occulte ( nebbia e rugiada).
La neve, a causa della conduttività calorica molto bassa, costituisce un’efficace protezione del cotico erboso contro le basse temperature invernali. Inoltre, sciogliendosi, arricchisce il terreno di acqua senza per altro esercitare alcun danno derivante dall’azione battente dell’acqua piovana.
La nebbia, quasi sempre presente nel periodo estivo-autunnale, si comporta da isolante e volano termico attenuando i fenomeni estremi; le correnti umide, infatti, contribuiscono ad accrescere l’apporto idrico sotto forma di precipitazioni occulte, limitando nel contempo i processi di evapotraspirazione e determinando quando si verifica condizioni microclimatiche di tipo oceanico.



3 Classificazione Bioclimatica Rivas-Martinez

Il metodo di classificazione bioclimatica proposto da Rivas-Martinez (2004) si avvale di dati climatici trattati statisticamente, relativi alle precipitazioni (espresse in mm) e alle temperature (espresse in gradi centigradi). Inoltre, per integrare i suddetti parametri, vengono calcolati anche alcuni indici bioclimatici, con il ricorso a semplici formule aritmetiche. Si distingue rispetto ad altri metodi per la ricchezza di informazioni fornite, e per la complessa articolazione in macrobioclimi, unità bioclimatiche e varianti bioclimatiche che sembrano certamente adeguate a rappresentare le situazioni reali.
Questa nuova metodologia infatti riconosce cinque macrobioclimi, ventisei bioclimi (o unità bioclimatiche) e cinque varianti bioclimatiche.
I macrobioclimi sono le unità gerarchicamente superiori alle altre poiché caratterizzano il clima di regioni geograficamente vaste e sono delimitati da determinati valori latitudinali, climatici e vegetazionali. I cinque macrobioclimi sono: tropicale, mediterraneo, temperato, boreale e polare.
All’interno di queste categorie, le regioni possono essere suddivise ulteriormente in base ai tipi di vegetazione propri di ciascun bioclima che rappresentano le unità subordinate al macrobioclima. Ogni bioclima, a sua volta, può presentare delle variazioni nel ritmo delle precipitazioni stagionali (variante bioclimatica). All’interno di ogni unità bioclimatica, inoltre, è possibile individuare dei piani bioclimatici, ognuno dei quali, caratterizzato dalla presenza di un termotipo ed un ombrotipo che sono delle tipologie determinate rispettivamente dai fattori termoclimatici e ombroclimatici che ne delimitano l’ampiezza. I fattori termoclimatici dipendono soltanto dai dati relativi alle temperature, mentre i fattori ombroclimatici si ricavano dalla trattazione dei dati termici e di quelli relativi alle precipitazioni. Ad ogni piano bioclimatico coincide una formazione e comunità vegetale.
I fenomeni meteorici che si manifestano in un punto della superficie della terra determinano, con il loro andamento medio su un lungo periodo, il clima. Quest’ultimo, quindi viene definito, dall’insieme dei fenomeni meteorologici che si verificano in una data zona, ossia il loro decorso in una visuale di lungo periodo, convenzionalmente superiore a 30 anni.
Per la caratterizzazione degli aspetti climatici del territorio indagato, sono state considerate, oltre alle stazioni termo pluviometriche di Gangi e Alimena di studio, anche quelle di Petralia Sottana e di S. Caterina Villarmosa.
Le precipitazioni medie annue ammontano mediamente a 677 mm distribuiti in un 74 giorni di pioggia. La temperatura media annua è di 13,9 °C. Con riferimento alla stazione termo-pluviometrica di Gangi (1050 m s.l.m.) il bioclima dell’area indagata, con valori di Ic= 16,8, di
t= 260, di Io= 3,78 e di Ios4= 0,74 va riferito al termotipo Mesomediterraneo superiore con ombrotipo subumido inferiore.


Tab. 1 Dati Bioclimatici di Gangi



4 Siti Archeologici



Fig. 2 Monte Alburchia



4.1 Monte Alburchia

Monte Alburchia, sede dell'omonimo sito archeologico, è ubicato nel settore centro-settentrionale della Sicilia, nella parte più orientale del massiccio delle Madonie. Esso costituisce un punto di riferimento classico e tradizionale per la storia antica del territorio di Gangi. Monte Alburchia ospitava un antico centro abitato, le cui tracce segnalate dalle risultanze dei saggi archeologici (Tusa, 1958) eseguiti in loco, testimoniano un insediamento umano in tempi relativamente recenti e meno recenti (Siragusa, 2010).



4.2 Lineamenti Geologici

Monte Alburchia è caratterizzato da una successione di terreni silico-clastico carbonatici depositatisi tra il Cretacico Superiore e il Miocene, in diversi ambienti deposizionali. I terreni più antichi sono rappresentati dalle argille varicolori e dai calcari marnosi della Formazione Polizzi riferibili al Dominio Sicilide. Le unità tettoniche derivanti dalla deformazione del Dominio sicilide (Ogniben, 1960), sono rappresentate da successioni di bacino pelagico deposte su crosta continentale assottigliata durante il cretaceo e il Paleocene (Wezel & Ryan, 1971; Wezel, 1974; La Manna et alii , 1995; Nigro & Renda, 2000), e derivano dalla deformazione e dallo smembramento di un paleodominio oceanico o bacinale ubicato lungo la zona di raccordo tra il margine interno della Piattaforma Panormide e il settore austro-alpino (Giunta, 1985; Nigro & Renda, 1999, 2000).
I terreni più antichi presenti in questo settore sono rappresentati dalle argille Varicolori (Cretaceo Superiore-Oligocene); si tratta di un'alternanza di argille tipicamente scagliettate e tettonizzate di colore grigio, violaceo, rosso vino e verdognolo dall'aspetto caotico, con intercalazioni di calcilutiti, calcareniti a mummuliti, siltiti. Le masse argillose si presentano per la maggior parte ridotte in scaglie laminate, striate e contorte che rendono impossibile l'individuazione di qualsiasi traccia dell'originaria stratificazione; questo è imputabile alle sollecitazioni tettoniche che hanno dato luogo a una giacitura fortemente caotica.
Nel settore a Est di Borgo Verdi le porzioni apicali delle Argille Varicolori sono caratterizzate dalla presenza di livelli argillosi caotici, con intercalazioni di calcilutiti e calcari marnosi bianchi, passanti verso l'alto ad argille grigio-azzurro scagliettate con gusci di ostreidi su cui poggiano in discordanza i depositi tardorogeni rappresentati dalle arenarie glauconitiche e le arenarie delle “Calcareniti di Gangi”.
Negli orizzonti più alti le intercalazioni calcilutitiche si infittiscono fino a costituire un passaggio graduale alla sovrastante Formazione di Polizzi (Grasso et alii , 1978).
Si tratta di un intervallo calcareo marnoso, intensamente deformato, costituito da un'alternanza da centimetrica a decimetrica di calcari e calcari marnosi grigio biancastri ben stratificati, con intercalazioni di biocalcareniti, biocalciruditi e brecce mal classate a macroforaminiferi ( Nummuliti, Alveoline e Lepidocycline), e sottili livelli di arenarie tufitiche, e marne di colore bianco, grigio verdognolo o azzurro spesso fogliettate e con noduli di pirite.
Riferibile alle Unità sicilidi è la successione numidica affiorante in questo settore e nota in letteratura come Flysch Numidico di Nicosia.
La successione stratigrafica del Flysch Numidico di Nicosia poggia su un substrato eo-oligocenico “Sicilide” di argille varicolori e silt micacei con livelli di quarzareniti gradate e torbiditi calcaree (Broquet et alii , 1975), passanti verso l'alto a un intervallo di argille e argille siltose bruno rossastre con intercalazioni di sottili livelli quarzarenitici decimetrici.
Verso l'alto le argille brune passano a potenti banchi quarzarenitici, costituiti da torbiditi organizzate in strati di spessore notevole che possono superare i 10 metri a granulometria medio grossolana, con scarsa maturità sia dal punto di vista composizionale che tessiturale e caratterizzate da sottili e discontinue intercalazioni pelitiche date da marne siltose grigio giallastre.
Nella porzione sommitale della successione, le quarzareniti passano a circa 60 metri di calcari marnosi e marne silicee con liste e noduli di selce di età Burdigliana (Wezel, 1974; Broquet et alii ,1975; Hojes & Andrejeff, 1975; Giunta, 1985; Guerrera et alii, 1986; Bianchi et alii, 1987; Carbone et alii, 1990; Lentini et alii, 1991) interpretati come il prodotto sedimentario di un restringimento del bacino numidico e dell'attivazione di un paleoarco vulcanico (Guerrera & Wezel, 1974).
In discordanza sui terreni sicilidi poggiano le coperture sinorogene, successioni silico-clastico carbonatiche di età compresa tra il Miocene e il Pleistocene, depositatisi successivamente alle principali fasi di ricoprimento, all'internodi piccoli bacini satellite in estensione ( Abate et alii, 1988) sviluppatisi sul dorso delle diverse Unità tettoniche in via di strutturazione (Butler et alii, 1995).
Nel settore in esame, il terreno più antico rifribile alle coperture sinorogeniche è rappresentato dalle “Calcareniti di Gangi”(Langhiano-Serravalliano); si tratta di arenarie quarzose, calcareniti e biocalcareniti, con stratificazione incrociate, a noduli algali, frammenti di molluschi, briozoi e alghe calcaree immerse in una matrice di natura carbonatica di colore giallo rossastra, deposte in ambiente di mare basso e in condizioni di alta energia (Lentini et alii, 1991); Fravega et alii, 1993).
Poggiano in discordanza sulle Argille Varicolori del Dominio Sicilide e lo spessore complessivo di questi terreni, misurato attraverso il pozzo esplorativo “Zimmara 001” è di circa 400 metri.
Alle “Calcareniti di Gangi” seguono, con rapporti di discordanza, talvolta non chiaramente visibili sul terreno, i depositi silico-clastici della Formazione Castellana; si tratta di argille e argille sabbiose di colore grifio con clasti fini e angolosi di natura quarzoso-feldspatico-micacei, contenenti microfaune a Globigerina bulloides, Globigerinoides quadrilobatus, Globorotalia obliquus, Globigerina praebulloides, Orbulina universa, Orbulina suturalis, Paragloborotalia siakensis, Ammonia beccarii, Bolivina dilatata, Valvulineria complanata che permettono di riferire tale litologia a un intervallo compreso tra il Serravlliano e il Tortoniano basale. Alle facies argillose si intercalano lenti di spessore decimetrico di sabbie grigio-giallastre e arenarie poco cementate e calcari e calciruditi ben stratificate di colore bianco-giallastro con liste e noduli di selce.
Questi depositi argilloso-sabbiosi, riferibili al Tortoniano basale per la presenza di Uvigerina barbatula (Ruggieri & Torre, 1984), indicati col termine informale di “Formazione di Castellana Sicula” (Carbone et alii, 2006), vengono datate come Serravalliano-Tortoniano inferiore (Di Stefano et alii, 1997; Lo Cicero et alii, 1997) e sono stati interpretati come un probabile para-autoctono (Ruggieri & Torre, 1987) o come depositi accumulatisi all'interno di bacini di piggy back tortoniani (Catalano et alii, 1990).
La successione stratigrafica in questo settore continua con la successione terrigena della Formazione Terravecchia ( Tortoniano); si tratta di un'alternanza di conglomerati, sabbie e peliti sabbiose, organizzate in più cicli deposizionali, indicativi di ambiente fluvio-deltizio e mare poco rpofondo, variamente associati tra loro, con variazioni di facies sia laterali che verticali (Abate et alii, 1988).

Verso l'alto le dimensioni dei clasti del membro conglomeratico tendono a diminuire e ai livelli conglimeratici si intercalano livelli sabbiosi spessi fino a 50 cm costituiti da sabbie gradate di taglia media e grossolana spesso caratterizzate da gradazione verticale e laminazioni parallele e incrociata. Le facies conglomeratiche, che costituiscono il rilievo di cozzo Romano e monte Alburchia, sono rappresentate da conglomerati poligenici di ambiente fluvio-deltizio di colore giallo-rossastro costiutiti da clasti di dimensioni decimetriche piuttosto arrotondati di quarzareniti numidiche, rocce granitoidi, scisti, gneiss e rocce carbonatiche, spesso embricati, immersi in una matrice prevalentemente sabbiosa di colore rosso; si presentano in genere ben stratificati, con strati spessi circa 20-40 cm, e organizzati in banchi che possono superare i 20 metri di spessore fra i quali si interpongono livelli di sabbie a granulometria grossolana, gradate e con laminazione parallele e oblique, e livelli argillosi di colore rossastro.
Questi livelli conglomeratici nel settore in esame poggiano in discordanza sulle Argille Varicolori; tuttavia nel settore di San Giovanni poggiano sui termini argilloso-sabbiosi della Formazione Castellana, mentre nel settore di Gangi poggiano in discordanza sulle Calcareniti omonime. (sequenze T a-c di Bouma).
Nella porzione superiore le facies sabbiose tendono a diventare sempre più abbondanti sino a sostituirsi completamente a quelle conglomeratiche, mostrando così una tendenza trasgressiva.
Le facies sabbiose sono rappresentate da arenarie e sabbie giallastre a grana medio grossa talora micacee, gradate e a laminazione parallela e obliqua, in strati da centimetrici a decimetrici con frequenti strutture da corrente e da carico alla base degli strati; a queste litofacies sabbiose spesso si addizionano livelli argillosso-siltosi e siltiti laminate con sequenze del tipo T b-c T b-e di Bouma, e lenti di conglomerati caratterizzate da modesta continuità laterale e da spessore centimetrico.
Le facies argilloso-pelitiche sono rappresentate da argille, marne argillose e argille sabbiose laminate di colore bruno o grigio-azzurro, con faune a lamellibranchi, ostracodi, gasteropodi e foraminiferi bentonici e planctonici, alle quali si intercalano sottili livelli sabbiosi di spessore metrico. L'analisi dei campioni prelevati in diversi punti dell'area in esame ha messo in evidenza un'associazione faunistica a Globorotalia menardi, Globorotalia scitula ventriosa, Globigerina apertura, Globigerinoides quadrilobatus, Paragloborotalia siakensis, Orbulina universa, Orbulina suturalis, Ammonia beccari ed Elphidium app., che permettono di riferire al Tortoniano tale formazione.
La Formazione Terravecchia (Flores, 1959) rappresenta quindi una potente successione terrigena di età Tortoniano superiore-Messiniano (Ruggieri, 1969; Catalano & Sprovieri, 1971; Ruggieri & Torre, 1984; Abate et alii, 1988; Abate et alii, 1998), tipica di sistemi deltizi progradanti (Catalano, 1979; Grasso & Pedley, 1987, 1988), depositatisi in piccoli bacini satellite in estensione che riflettono processi di collasso della catena (Abate et alii, 1988; Nigro & Renda, 1999, 2000).
La migrazione delle facies all'interno di questi bacini, interpretati come bacini di thrust top (Grasso & Pedley , 1973), è controllata da variazioni di apporti del materiale silico-clastico provenienti da quadranti settentrionali, associati a una forte mobilità tettonica del substrato; mentre sulle creste dei thrust predomina l'erosione o la non deposizione, con la sporadica presenza di limitate costruzioni recifali, le aree depresse intrappolano il materiale silico-clastico controllando la distribuzione sia dei depocentri alto tortoniani che di quelli inframessiniani (Grasso & Pedley, 1993).

4.3 Le mitologiche origini di Gangi

Lo storico Siragusa (2010), narrando delle origini di Gangi, scrive che, i lontani antenati dei gangitani si possono rintracciare nell'antica popolazione che viveva sulle pendici e sulla sommità di questa montagna. Ma anche altre località viciniori, prima fra tutti Gangivecchio e i suoi dintorni, ospitarono molti secoli or sono i progenitori dell'odierna Gangi. La Storia di Albura rappresenta un tassello utile alla ricostruzione del complesso rapporto nell'antichità tra gli indigeni isolani e i popoli “stranieri e civilizzati”.
Nel territorio di Gangi ci sarebbero state, secondo diversi studiosi due antiche città, oggi scomparse, la cui esistenza è storicamente documenta dagli antichi scrittori Plutarco, Diodoro, Cicerone etc..: la potente città sicula di Erbita e Engio dall'antico e religiosissimo tempio custode, secondo una remota tradizione, delle armi del mitico Ulisse.
Il materiale archeologico recuperato nel corso dei saggi effettuati circa 50 anni fa è stato sottoposto negli anni Novanta a successive verifiche dall'archeologo Pancucci (1990), che ne ha curato la catagolazione e riclassificazione. Sono state da lui notate alcune incongruenze circa la provenienza del materiale. E, approfondendo le risultanze ufficiali dei saggi, è pervenuto alla conclusione che sul monte Alburchia, in particolare nel lato Sud-Ovest, ma non solo in quello, esisteva una necropoli e probabilmente un centro abitato ellenizzato. Un centro risalente all'incirca all'età di Timoleonte e che sembrerebbe cessare di esistere intorno al IV-VI secolo d.C. (Tusa). Mentre nella vicina montagnola, denominata Comune, c'era un centro indigeno che appariva accogliere al suo interno elementi greci e sicelioti.
A sua volta, l'archeologo Amedeo Tullio (Tullio, 2002), parla dell'esistenza di due necropoli sul predetto fianco Sud-Ovest del monte. Quindi, sulla scorta di queste indicazioni possiamo delimitare, circoscrivere l'esistenza di un centro abitato (o due? L'uno indigeno e l'altro allogeno?), tra le contigue località citate: Comune e Alburchia. È possibile, dunque, che esistesse originariamente un insediamento dove indigeni e Greci convivessero (abitato + necropoli del VII-III/II secolo a.C.) e un altro viciniore (che sembra aver preso forma e vita a partire dal IV secolo a.C. al VI secolo d.C.).
Altra ipotesi avanzata da Naselli (1950), è che Alburchia potesse essere un borgo con necropoli di una antica città esistente nelle vicinanze (Gangivecchio-EngioVeteris). Non scartando quest'ipotesi, è più probabile che si sia trattato di un'unica città (magari poi rifondata per motivi di cataclismi naturali o bellici ricorrenti nell'antichità) esistente tra le contrade Alburchia e Comune. E comunque non escludiamo affatto che sul monte Alburchia ci potesse essere un insediamento preesistente all'età ellenistica o ellenistico-romana.
I più antichi reperti risalirebbero al VII secolo a.C. e provengono principalmente da contrada Comune. Dal punto di vista dei gruppi etnici ivi allora esistenti, possiamo dire che si trattava di una comunità prevalentemente indigena che presentava segni di rapporto col mondo greco. Un mondo greco principalmente costituito e rappresentato dalle colonie costiere. Un lento ma palpabile processo di ellenizzazione permeò per 3-4 secoli la popolazione di Alburchia-Comune (processo che raggiunse il suo culmine intorno al IV-III secolo a.C.).
Esiste nel museo civico di Gangi una statuetta di terracotta che raffigura una figura femminile assisa in trono, si pensa riferibile a una divinità. Da alcuni studiosi, figure similari sono state identificate come rappresentazioni di Demetra. Molto più probabilmente ci troviamo invece, di fronte a una rappresentazione di Atena Lindia adorata a Gela, Siracusa, Agrigento etc..
Si tratta del prodotto del processo che ha portato all'incontro delle credenze indigene con le divinità del pantheon greco e che avrebbe conosciuto forse la sua più riuscita sintesi nel mito di Demetra, dea per antonomasia della fertilità dei campi. Il suo culto sarebbe stato successivamente piuttosto diffuso in Sicilia. Demetra era l'erede in età preistorica delle primitive forme culturali riferibili alle Grandi Madri mediteranee e isolane. A essa, sulla nostra montagna incantata, dovevano essere dedicati particolari feste e riti diffusi nel resto della Sicilia. Il culto di tali divinità dovette essere condiviso dagli Albukioi pure nei secoli successivi, fino all'età romana. A completare questo rapido quadro, citiamo anche il culto di Afrodite e forse quello di Dionisio intrinsicamente legato al mito di Demetra e al quale potrebbe richiamarsi indirettamente la denominazione di una località di Gangi: Montededero. Demetra, Afrodite, Atena Lindia sono tutti intrecciati con la mitologia non solo greca ma anche con quella cretese. Ciò richiama le influenze locali di matrice geloa, agrigentina nel territorio di Albura, che secondo gli antichi storici, si trattava di una piccola ma famosa città allora esistente nell'interno della Sicilia consacrata alle dee Madri e poi svanita nel nulla.
Nei primi secoli d.C. nasceva e si diffondeva il cristianesimo. La tradizione locale ci dice quanto segue: tra il I-IV secolo d.C. sarebbe venuto nelle Madonie, e quindi anche in Engio (e Albura), San Filippo di Agira a diffondere tra il popolo il credo cristiano. Quest'ultimo potè attecchire facilmente tra i più poveri e sfruttati, poiché nella promessa di una emancipazione ultraterrena degli umili, molti intravidero la possibilità di un riscatto terreno del loro stato di miseria e soggezione. Quindi, si aveva il delinearsi di due religioni: l'una, quella pagana, era stata un valido supporto e fonte di leggittimazione del dominio delle classi dominanti di allora e del potere costituito; l'altra (il Cristianesimo) coagulò le istanze di riscatto spirituale e soprattutto materiale, e quindi anche a livello politico, delle masse più sfruttate.
Questa situazione dovette verificarsi anche su Albura, allora il culto dominante era quello di Cerere (Demetra) e altre divinità femminili, il cui culto era incentrato sull'idea di riscatto dalla morte, e dunque rinascita. Su queste basi il cristianesimo con la sua promessa di salvezza eterna trovava terreno fertile per radicarsi sull'Alburchia e dintorni.
I primi cristiani attivi nei pressi della montagna incantata furono impegnati a cristianizzare la zona, cioè a sostituire gli antichi simboli pagani con i nuovi o semplicemente a lasciare i vecchi, dandogli però un nuovo significato e aggiungendovi dei segni tipici della loro religione ( l'aggiunta o sovrapposizione di una croce alla simbologia greco-romana). Il culto di San Marco potrebbe avere così lontane origini nei pressi dell'attuale Gangi. Non lungi da Alburchia, ai piedi della Balza di Pezzalonga (denominata popolarmente anche Soprano, Mingarda) – sulla cui cresta pensi amo probabilmente a ragione, Angelini (Angelini, 1992), stima essere esistita l'antica Engio - , si trova oggi una contrada denominata San Marco abitata in età romana. Il processo di cristianizzazione potette impiegare parecchi secoli, gli antichi culti continuavano a sopravvivere nelle pratiche e credenze dei contadini della zona. Sorgeranno, nei secoli a venire, dei santuari o luoghi di culto cristiani sia ad Alburchia che a Gangivecchio che tenderanno a sotituire e a soppiantare gli antichi spazi sacri ai pagani. Ai piedi di Alburchia significativamente fu costruita un'antica chiesetta cristiana, oggi in rovina. Molto tempo dopo sorgerà il convento dei benedettini, forse soppiantante un antico luogo di culto pagano. Il terremoto dovette dare una robusta mano all'opera di cristianizzazione, facendo cadere in rovina le antiche struttue templari. Il culto di Demetra, Iside, Venere, Cibele, Atena (non solo adorata nella città alburese ma in zona, sembrerebbe richiamarsi a lei un'antica denominazione di una località di contrada Soprano: Valle du cuccu , cioè del cuculo, animale a lei sacro) accomunate dall'essere identificate come dee Madri, venne sostituito dal credo cristiano.
Per concludere, cosa possiamo dire sulla fine della città di Alburchia?
Il pesante fiscalismo degli imperatori romani, necessario al mantenimento dell'esercito e del corpus burocratico centrale e periferico, determinò l'impoverimento dei ceti medi della zona di Albura – dove non lontano sorgevano probabilmente Engio, Erbita, Macara o Imachara – cioè artigiani, commercianti in derrate agricole.
Riguardo l'economia, uno dei prodotti più ricercati dai mercanti nell'entroterra era il grano, vitale per il sostentamento delle truppe mercenarie e per l'approviggionamento alimentare delle ricche e potenti poleis costiere. Altro prodotto dei campi albukioi doveva essere l'orzo, ed in generale si trattava di un territorio fertile quello che ricadeva nella comuntià alburese, per molti studiosi. Nelle vicinanze di Albura nelle campagne circostanti dovevano esserci vigne. Sappiamo che nel XVI e XVII secolo d.C. In territorio gangitano la non lontana località Soprano era coltivata a Vigneto come anche le non distanti Nocito e Montededero. Altra risorsa locale era l'allevamento dei bovini testimoniato dalla coroplastica greca i indigena locale. Le rivolte schiavili del II-I secolo a.C. dovettero coinvolgere in qualche modo anche Alburchia. Crisi economica e uso massiccio della monodopera schiavile ci introducono gradualmente a una nuova fase della storia di Alburchia e del resto della Sicilia. Quella contrassegnata dallo spopolamento graduale delle città e dell'instauraesi del regime latifondisto. La necessità dell'organizzazione del lavoro del sitema latifondista determinò la concentrazione dei lavoratori nelle campagne motivo per cui Engio, Erbita e la città incantata decaddero e tesero a scomparire, probabilmente a partire dal IV-V secolo d. C.
Ipotesi alternative o congiunte sulla loro scomparsa: - per un forte terremoto; - per la decadenza dell'influenza del tempio o santuario pagano chiuso a seguito dell'Editto di Costantino; - per gli attacchi militari distruttivi di popolazioni allogene nel contesto del totale disfacimento dell'Impero romano d'occidente. Si trattava probabilmente di un graduale spopolamento e forse di un successivo ripopolamento di Albura in età araba.




4.4 Gangivecchio, monte S.Calogero - Boschetto di Mingarda/Soprano

All' Abbazia Gangivecchio le indicazioni date da Cicerone (1994), a proposito dell' antica Engium, vengono avvalorate dalla recente scoperta di una antico edificio romano databile presumibilmente I secolo a.C, che testimonierebbe, insieme al ritrovamento di altri reperti - mosaici, ceramiche e oggetti vitrei - l'esistenza in quest' area di un ricco insediamento romano. «Si tratterebbe di scoperte che permetterebbero di ricostruire in maniera scientifica e "moderna" la storia di questa zona delle Madonie» sostiene la professoressa Fabiola Ardizzone, docente di Archeologia medievale all' Università di Palermo, che coadiuvata dal professor Glenn Storey dell' Università dello Iowa, ha curato gli scavi all' interno dell' antica Abbazia di Gangi (Ferrante., 2012).


Fig. 3 Abbazia – Gangivecchio



4.5 Lineamenti geologici e geomorfologici

L’ambito territoriale di riferimento appartiene al dominio di avanfossa noto come “Bacino di Caltanissetta”. Tale bacino, impostato su unità alloctone del complesso Silicide e attivamente subsidente durante il Neogene e il Quaternario, è colmato da terreni post-orogeni mio-plioceni e pleistocenici (Bellomo F., Spatafora M., Bagliani P., 2009).
Dal punto di vista orografico il settore in studio fa parte dei Monti Erei, che costituiscono un insieme di moderati rilievi e pianori che dalla catena settentrionale dei Nebrodi-Madonie si dirigono verso SSE fino all’altopiano Ibleo. Queste alture formano una linea di displuvio che attraversa la Sicilia centrale separando i bacini idrografici dello Jonio da quelli del Mediterraneo.
Le quote più elevate e i maggiori dislivelli dei Monti Erei si raggiungono nel loro settore settentrionale, all’interno dell’ambito territoriale di riferimento, da Gangi a Calascibetta in corrispondenza del Monte Zimmara (1.333 m) e del Monte Altesina (1.112 m). Queste maggiori asperità morfologiche sono in relazione con le caratteristiche litologiche dei terreni affioranti: si tratta di importanti placche formate da potenti banconi quarzarenitici alternati a ridotti intervalli argillosi del Flysch Numidico. Il settore più meridionale degli Erei è caratterizzato da rilievi modesti, costituiti da placche più o meno sinclinaliche di terreni marnosi e sabbioso arenitici di età plio-pleistocenica.
Laddove si ha prevalenza di litologie argillose il territorio è soggetto a processi di modellamento ad opera delle acque incanalate con erosione di fondo e laterale e frequenti aree calanchive, in stadi più o meno avanzati, maggiormente evidenti laddove la vegetazione diviene più rada. In alcune aree sono stati praticati impianti di riforestazione al fine di contrastare i fenomeni erosivi superficiali.
Tortoniano superiore, di un sistema deltizio progredente verso sud e alimentato da nord dalla catena in sollevamento (Grasso e Butler, 1991). La sequenza tortoniana si chiude con sedimenti marini (argille), che testimoniano un approfondimento del bacino nel tardo Tortoniano. La regressione messiniana ha portato alla sedimentazione di depositi evaporitici denominati “Serie Gessoso Solfifera”, costituita da Calcare di base e da Gessi.
Per quanto riguarda la successione stratigrafica, i depositi alluvionali attuali e recenti (Olocene): sono depositi costituiti da conglomerati, ghiaie, sabbie, limi. Si rinvengono lungo gli alvei delle aste fluviali principali e si presentano spesso terrazzati in più ordini. Si caratterizzano per la scarsa classazione dei materiali, fattore che da indicazioni sul regime idraulico che ne ha determinato la deposizione.
La Formazione gessoso-solfifera (Messiniano), è costituta da calcari di Base e da Gessi. I Calcari di base sono costituiti da alternanze di banchi di 1-2 m di prevalenti calcari evaporitici e subordinatamente da marne e brecce, in alternanza con il Tripoli. I Gessi costituiscono una facies eteropica con il calcare di base e si presentano in bachi con spessore fino a 20 m, spesso smembrati dalla fase tettonica intra-messiniana.
Mentre per la Formazione di Terravecchia (Tortoniano sup.) si tratta di marne argillose grigio-azzurre e/o brune e sabbie quarzose di colore giallastro presenti sotto forma di sottili livelli o grosse lenti.
Questa successione argilloso-sabbiosa del Tortoniano superiore si caratterizza per la notevole variabilità di facies e spessori: si individuano marne argillose di colore grigio azzurro o bruno; sabbie di colore giallastro scarsamente cementate, talora ben classate, quasi esclusivamente quarzose a granulometria grossolana; arenarie di colore giallastro in strati sottili intercalati da livelli marnoso-sabbiosi poco compatti. Nell’area in esame questi depositi giacciono in discordanza sul substrato numidico.
Il Flysch Numidico (Oligocene sup. - Langhiano inf.) è la formazione che affiora più estesamente nell’area di studio. La porzione inferiore è caratterizzata da argilliti nerastre che passano verso l'alto ad una alternanza di argille brune e di grossi banconi di quarzareniti. Le quarzoareniti sono facilmente rilevabili in affioramento in quanto evidenziate dall’erosione selettiva e possiedono uno spessore estremamente variabile, da qualche decimetro a qualche metro; si presentano di colore bianco-giallastro e sono costituite da granuli di quarzo arrotondati ed elaborati dall’azione eolica in cemento siliceo. Gli affioramenti sono caratterizzati da un fitto sistema di fratturazione che si sviluppa perpendicolarmente alla giacitura delle bancate e che testimonia il trasporto orogenico subito. La superficie esposta degli strati è generalmente alterata per l’ossidazione dei minerali ferrosi e la roccia assume colorazione bruno-giallastra con venature e plaghe rossastre. Lo spessore della formazione non è determinato.
Dal punto di vista strutturale si evidenzia che nell’area si individuano due tipi di strutture tettoniche che si differenziano essenzialmente per l’intensità del corrugamento. Il primo interessa i terreni evaporitici e pre-evaporitici che sono stati intensamente piegati dallo stesso atto di diastrofismo, il secondo, che invece da luogo a dislocazioni più blande, caratterizza i terreni marnosi e sabbiosi.



4.6 Gangivecchio e la sua storia

Non lontano da Alburchia, sulla cresta della Balza Pezzalonga (denominata popolarmente anche Soprano, Mingarda) Angelini (1992), stima essere esistita l'antica Engio. Proprio in questa zona si ha il richiamo alla cristianizzazione dei gangitani, ovvero il richiamo a un santo il cui simbolo è il leone, ai piedi della cresta si trova oggi una località denominata San Marco abitata ai tempi dei romani.
Poco più sopra c'è una località denominata Val di Luca, località al cui interno scorreva una sorgente e forse, in antico anche un torrente. Entrambi ubicati all'interno di un'area delimitata una volta da antiche e possenti mura. Nei pressi di Gangivecchio, nella citata Balza di Pezzalonga, si trova una località, detta in antico “Donna delli pomi” probabilmente riferibile a un antica divinità femminile – Dea Madre – venerata in loco cui era legato quel particolare frutto.
Antiche leggende sul vicino e geomorfologicamnte connesso Monte san Calogero e sulla vetta di Contrada Soprano, dalla forma allungata appaiono richiamare antichi culti delle dee Madri.
Due sono le ipotesi vagliate dal Naselli (1950), circa le origini di Engio, l'odierna Gangi. Nella prima ipotesi il Naselli fa riferimento a quanto scritto da Diodoro circa la venuta dei Cretesi in Sicilia intorno al VIII secolo a.C. Questa prima ipotesi colloca a due miglia dall'odierna Gangi, andando verso scirocco, sull'altipiano, la cittadella di Engio, ed a valle un grandioso edifizio a quattro ali con chiostro: il Monastero di S. Maria, edificato sulle rovine della città bassa nel secolo XIV.
Verso levante un torrente divide la contrada di Gangivecchio dal vasto pendio di Camporotondo, dove ne 1299 si accampò l'esercito di Federico II durante l'assedio di Engio.
Il Naselli fa risalire le origini della città di Engio al XII secolo a.C. Prima ancora che la Sicilia fosse occupata da popoli stranieri venuti ad estendere il loro dominio, fondando nuove colonie e sviluppando il loro commercio. Inizialmente l'isola era popolata dai Sicani, venuti dall'Iberia, dai Siculi, scesi dall'Italia, e dagli Elimi, di origine troiana. Seguirono i popoli Elleni e Fenici.
Nel XVII secolo a.C. ebbe inizio l'afflusso degli stranieri, che come prima cura ebbero di mira, con lo scopo di stabilizzarsi nell'Isola, l'edificazione di nuove proprie città.
Tra essi, i Cretesi alcuni secoli dopo approdarono in Sicilia, condotti da Minosse, con il pretesto di vendicarsi del famoso architetto Dedalo, il quale, trovandosi alla corte del loro Re, ne aveva sedotto la moglie ed era qui fuggito presso il re dei Sicani, Cocalo. Quest'ultimo però temendo le ire di Minosse, lo accolse cordialmente, ma poi lo fece uccidere a tradimento in un bagno caldo dalle proprie figlie. I Cretesi, avendo perduto il loro condottiero ed essendo state distrutte le loro navi dai Sicani, sudditi di Cocalo, dopo aver dato a Minosse onorevole sepoltura si fermarono nell'isola e fondarono presso Girgenti una città, a cui, in onore del morto sovrano, imposero il nome di Minoa. Venuti in discordia tra di loro, una parte si staccò dai primi errando nell'isola si fermò in un sito scosceso nei pressi del monte Gran Nebrode o Marone, in quel sito da noi oggi denominato Gangivecchio. Qui sull'altipiano, ottimo per la difesa naturale, fondarono un'altra città, che da una vicina sorgente appellarono Engio.
Il Naselli continua dicendo, che ben presto gli Engini, facendo irruzione nel vicino territorio, allargarono il loro primitivo, ristretto dominio e, divenuti ricchi e potenti, non tralasciarono di ripristinare nella nuova città il proprio culto. Dal momento che nell'isola di Creta erano in grande venerazione le Dee Madri, costruirono in Engio un tempio, dedicandolo a queste divinità. Secondo Diodoro, le Dee Madri allevarono nascostamente Giove senza che il padre Saturno se ne accorgesse; motivo per cui furono collocate nel cielo tra le stelle. Una delle Madri fu Idea, la quale da Cicerone è posta in Engio. La leggenda narra che gli Engini per edificare il tempio trasportarono la pietra necessaria dal territorio di Agira, servendosi all'uopo di carri a quattro ruote, trainati da cento paia di buoi.
La seconda ipotesi del Naselli, parla di Engio come di una città, fondata dai Siculi, che intorno al XVII secolo a.C., venuti nell'isola, vi si stabilirono dopo aver sostenuto e vinto lotte feroci con i primi abitatori, i Sicani, e a scopo di difesa fabbricarono le loro città in luoghi elevati e naturalmente fortificati. Anziché dai Cretesi, i quali vennero in Sicilia nell'ottavo secolo a.C. quando la città esisteva da tempo.
Tale tesi è sostenuta da Alaimo (1958), il quale inoltre aggiunge come validi argomenti a favore il fatto che lo storico Tucidide non enumera Engio tra le città edificate dai Greci; che le risultanze archeologiche sono per l'edificazione di essa in epoca anteriore alla venuta dei Cretesi in Sicilia.
Inoltre il Natale (1962), nella sua Storia Antica enumera invece Engio tra le città sicule.
Non c'è alcun dubbio che i Cretesi, anche quando non siano stati i fondatori, pervennero in questa città, magari in un secondo momento vi si fermarono e vi importarono il culto alle Dee Madri e con i primi abitatori costruirono il gran tempio. Il tempio per la sua grandiosità divenne ben presto famoso e non solo per la città di Engio, ma per molte parti dell'isola, fu arricchito di vasi e d'altri doni d'oro e d’argento. Come attesta Diodoro furono consacrati alle Dee Madri intorno a tremila buoi e tante terre da ricavarne vistosissime entrate.
Tra le offerte nel tempio vi erano aste e cimieri di Merione e del greco Ulisse, il quale, secondo l'affermazione di Plutarco nella vita di Marcello, fu ospitato in Engio.
Diodoro (1983), narra che una seconda ondata di Cretesi, condotta da Merione, dopo la guerra di Troia, fu accettata, come di compatrioti, in Engio ed anzi pone la costruzione del tempio dopo tale seconda immigrazione. Oltre il culto i Cretesi introdussero la legislazione propria, composta da savie leggi, che miravano all'educazione militare dei giovani, alla fratellanza dei cittadini, alla prosperità del paese.
Quasi tutti gli storici sono concordi sul fatto che Engio fosse sito nella contrada Gangivecchio presso Gangi, il che è suffragato da ricerche archeologiche. Ne fa fede il Monastero Benedettino di Gangivecchio, edificato sulle rovine di Engio, secondo l'affermazione del Cluverio.
Ritrovamenti preziosi per l'archeologia, forse i più preziosi che siano mai stati registrati nella tenuta di Gangivecchio che cinge l'Abbazia di Santa Maria: sotto uno strato di pietra e terra, a circa ottanta centimetri dalla superficie, è stata trovata una sepoltura con almeno otto corpi inumati (Reale, 2005). E al suo interno è stato trovato un intero corredo funebre del IV secolo dopo Cristo, sette vasi di ceramica e due di vetro riconducibili ad uno degli scheletri, il ritrovamento è molto più prezioso per le analogie: la profondità e la conformazione della tomba, infatti, sono uguali a quelle di un'altra sepoltura trovata a distanza di qualche metro.


5 Sito di Importanza Comunitaria

Con le Direttive comunitarie “Uccelli” (Dir.79/409/CEE) e “Habitat” (Dir.92/43/CEE), il Consiglio dei Ministri dell’Unione Europea ha inteso perseguire, assieme alla salvaguardia di una serie di habitat e di specie animali e vegetali di interesse comunitario, la progressiva realizzazione di un sistema coordinato e coerente di aree destinate al mantenimento della biodiversità all’interno del territorio dell’Unione. Tale insieme di aree, di specifica valenza ambientale e naturalistica, è individuato, ai sensi della Direttiva "Habitat" (art. 3), come Rete Natura 2000, essendo quest’ultima costituita dall'insieme dei siti denominati ZPS (Zone di Protezione Speciale) e SIC (Siti di Importanza Comunitaria) questi ultimi attualmente proposti alla Commissione Europea e che al termine dell’iter istitutivo saranno designati come ZSC (Zone Speciali di Conservazione).
L’obiettivo di questa rete è la conservazione e protezione delle specie o degli habitat naturali o seminaturali di particolare importanza riportati negli allegati.
Sulla base di tali norme e delle informazioni scientifiche disponibili o da acquisire caso per caso, ogni Stato membro ha proposto alla Commissione Europea un elenco di siti ritenuti d’importanza comunitaria, ognuno riportati su mappa con l’indicazione della sua denominazione, dell’ubicazione e dell’estensione ( Bellomo F., Spatafora M., Bagliani P., 2009).
La misura 1.11 del CdP del POR Sicilia 2000-2006 riguarda in particolare la promozione della Rete Ecologica Regionale. All'interno del quale l'Assessorato Agricoltura e Foreste, Dipartimento Regionale Azienda Foreste Demaniali ha proposto il Piano di Gestione dell'Ambito Territoriale “Residui Boschivi e zone umide dell'Ennese-Palermitano”.
L’area del territorio oggetto del presente studio interessa il Sito di Importanza Comunitaria di Monte S. Calogero, (cod. ITA 020041) così come dall’elenco pubblicato nel DM 3 aprile 2000).
Il sito di importanza comunitaria si estende attorno a monte San Calogero su una superficie di 161,29 ettari di territorio, di pertinenza amministrativa del comune di Gangi, e racchiude in esso i peculiari aspetti paesaggistici e naturali descritti, dove si conservano taluni lembi di praterie montane interessate da specie insediate in stazioni puntiformi, quali Stipa sicula. Nell’area indagata, inoltre, è stata rinvenuta una sola specie considerata prioritaria, Leontodon siculus.

5.1 Emergenze floristiche e vegetazionali: lo stato dell’arte

Il paesaggio vegetale del territorio di Gangi è ampiamente dominato da praterie in parte mesofile in parte xeriche, nel cui ambito assumono un particolare interesse fitogeografico quelle cacuminali caratterizzate dalla presenza di Stipa sicula, specie endemica esclusiva delle Madonie. Le praterie a Stipa sicula, in assoluto più espressive sono quelle conservate sulle pendici di Monte S. Calogero, che per tale ragione deve essere considerato uno dei siti di maggiore importanza naturalistico-ambientale del paese di Gangi. Il territorio, infatti, a testimonianza della antica utilizzazione antropica ospita pochi lembi relittuali di vegetazione forestale, rappresentati da arbusteti, boscaglie e boschi a dominanza di querce caducifoglie.
E’ presente una sola specie vegetale inclusa nell’inventario delle specie di interesse prioritario, Leontodon siculus. Tra le altre entità di rilevante importanza della flora si ricorda Celtis aetnensis, specie arbustiva del ciclo di Celtis tournefortii, ritenuta endemica esclusiva della Sicilia e nota sulle pendici meridionali di Monte S. Calogero. La specie, diffusa prevalentemente sulle pendici dell’Etna, predilige gli ambienti rocciosi e pietrosi aridi ricadenti sui versanti meridionali e occidentali dei rilievi montuosi dei Nebrodi, dei Sicani e di Busambra (Giardina et. al., 2007).
Le tipologie di habitat segnalate all’interno del SIC sono le seguenti:
- Arbusteti termo-mediterranei e pre-steppici, con una copertura del 1%;
- Percorsi substeppici di graminacee e piante annue dei Thero-Brachypodietea, con copertura del 32,24%;
- Rupi calcaree dell'Italia meridionale (Dianthion rupicolae), con una copertura del 0,25%;
- Boschi orientali di quercia bianca (Quercus pubescens s.l.), con una copertura del 28,60%.


6 Materiali e metodi
Lo studio della vegetazione reale dei siti di interesse archeologico nota nel territorio di Gangi è stato condotto attraverso escursioni reiterate sul campo, durante le quali la vegetazione è stata rilevata secondo la metodologia fitosociologica, ideata e messa a punto da Braun-Blanquet (1928).
Con il termine fitosociologia si identifica la scienza che studia le comunità vegetali, analizzandone la composizione floristica, ed i rapporti di questa con i fattori ambientali (PIROLA, 1970). L’approccio sociologico della scuola Sigmatista di Bran-Blanquet (da S.I.G.M.A., Station Internationale de Geobotanique Méditerranèenne et Alpine) presuppone che la vegetazione possa essere classificata, previa descrizione, sulla base di un metodo statistico che prevede come unità base di riferimento il concetto di “associazione vegetale”, costituita da una composizione floristica, strutturale ed ecologica ben definita e riscontrabile in determinate stazioni di rilevamento.
Preliminarmente alla effettuazione del rilievo floristico si descrive la stazione della quale vengono annotati gli elementi necessari ad una puntuale caratterizzazione e successiva individuazione (BLASI & MAZZOLENI, 1995). Il metodo prevede che il rilievo venga effettuato su un’unità vegetazionale a composizione floristica ed ecologica uniforme che prende il nome di “popolamento elementare”.
Dopo l’individuazione dei popolamenti elementari, inizia il lavoro di rilevamento fitosociologico nelle diverse unità elementari.
Un solo rilievo in genere non è sufficiente a descrivere una vegetazione, solo con un numero consistente di rilievi è possibile arrivare ad una visione d’insieme, che permetta anche di ottenere risultati medi generalizzabili e poter operare, confronti il più possibile significativi con dati provenienti da altri ambiti. I confronti tra rilievi effettuati in aree diverse vengono effettuati in base alla presenza o all’assenza delle specie condivise ed in seguito, i rilievi simili, vengono riuniti in un’unica tabella che ci consente di associare ad un particolare ambiente, un preciso aspetto vegetazionale.
La descrizione di un insieme di fattori biotici che influenzano un dato popolamento, si può effettuare sulle indicazioni che traiamo dai dati sulla fedeltà nella coesistenza tra le varie specie, sulla loro vitalità e sui rapporti di competizione che ciascuna di esse esercita sulle altre.
La distribuzione degli individui può essere di tre tipi: causale, tendente a una certa uniformità, e a gruppi. Il caso della distribuzione uniforme è piuttosto raro in natura, anche una distribuzione casuale è relativamente rara. Più frequente è invece quella a gruppi e dipende da tre cause principali: le condizioni ambientali non sono mai del tutto uniformi e offrono a ciascuna specie ambienti diversamente favorevoli; la vicinanza di individui della stessa specie è anche la conseguenza dei loro mezzi di moltiplicazione; una specie può essere dipendente da un’altra, una popolazione erbacea può essere più densa sotto gli alberi di una certa specie a causa dell’effetto che questi hanno sul territorio.
Il modo di distribuzione degli individui ha una grande importanza ecologica: la vita in colonie, più o meno dense, aumenta la capacità di difesa e di espansione di una specie rendendo i singoli individui meno vulnerabili alla concorrenza di altre specie o predatori; costituisce inoltre una causa di eterogeneità relativa all’interno di una fitocenosi, che appare allora essere come un mosaico di fitocenosi elementari.
Il grado di aggregazione e di dispersione degli individui, su una data superficie, viene quantificato con una scale detta di socialità. Essa consta di 5 gradi:
1 individui isolati
2 gruppi di individui
3 piccole colonie
4 colonie estese
5 popolamenti puri
La scala utilizzata per esprimere il grado di abbondanza-dominanza, è la seguente:
r individui rari
+ copertura < 1%
1 copertura 1 – 20%
2 copertura 20 – 40 %
3 copertura 40 – 60 %
4 copertura 60 – 80 %
5 copertura 80 – 100 %

L'indice di abbondanza-dominanza è la prima cifra che viene posta di fianco alla specie nell’elenco floristico del rilievo e dopo questa stima, separato da un punto, viene subito valutato per la stessa specie, il grado di sociabilità.



6.1 Definizione dei tipi vegetazionali

Per giungere ad una descrizione e classificazione della vegetazione sufficientemente attendibile e coerente con la realtà non basta, ovviamente, eseguire un solo rilievo per aspetto di vegetazione, ma occorre rilevare il maggior numero di espressioni simili presenti nel territorio di indagine. Alla fine è uso comune eseguire un numero di rilievi che sia proporzionato alla variabilità esistente tra i popolamenti elementari, che dipendono dal numero di microambienti presenti nel territorio.

In questo modo è possibile verificare che determinati aspetti della vegetazione si ripetono regolarmente, pur nella variabilità espressa nei diversi rilievi, rendendo possibile ricondurli tassonomicamente in un “tipo”, che è, appunto, la rappresentazione dell’andamento medio della composizione floristica della vegetazione studiata.
In termini operativi si procede attraverso passaggi successivi. In primo luogo tutti i rilievi fitosociologici vengono eseguiti all’interno di aree con carattere di omogeneità riferita alla fisionomia, alla struttura e alla composizione qualitativa. Quando vengono soddisfatte queste caratteristiche di omogeneità, ci si trova di fronte ad una unità o tipo vegetazionale.
Ognuno di questi tipi è rappresentato in una tabella, composta da uno o più rilievi, in cui sulle righe sono state riportate le specie e sulle colonne i rilievi o il rilievo fitosociologico. Si tratta delle cosiddette tabelle fitosociologiche “grezze“ o non strutturate che contengono all’intersezione tra righe e colonne l’indice di copertura-abbondanza relativo a quella particolare specie (riga) e a quel particolare rilievo (colonna).




6.2 Classificazione della vegetazione

Secondo la scuola fitosociologica l’unità elementare della vegetazione viene indicata con il nome di associazione. Braun-Blanquet (1964) definisce l’associazione come “una comunità vegetale più o meno stabile ed in equilibrio con il mezzo ambiente, caratterizzata da una composizione floristica determinata, in cui certi elementi quasi esclusivi (specie caratteristiche) rivelano con la loro presenza un’ecologia particolare”. Questa definizione è stata successivamente ampliata da Pirola (1970) e Pignatti (1995), secondo i quali l’associazione poteva essere definita come “una fitocenosi caratterizzata da una composizione floristica determinata, ma non necessariamente costante, bensì fluttuante attorno ad un valore medio; essa si comporta come un complesso autoregolantesi ed autoriproducentesi che si trova in uno stato di equilibrio nella concorrenza per lo spazio, le sostanze nutritive, l’acqua, l’energia e nella quale ogni specie componente influenza le altre; essa, infine, si riconosce per la presenza di alcuni elementi quasi esclusivi (specie caratteristiche)”. La difficoltà, sempre crescente con l’ampliamento delle conoscenze fitosociologiche, di definire associazioni identificate da specie esclusive o quasi esclusive, ha portato alla recente definizione dell’associazione come “ la più piccola unità vegetazionale astratta che possiede almeno un taxon costante e almeno un taxon caratteristico assoluto o locale, oppure è un’equivalente unità vegetazionale distinta da tutte le altre da taxa differenziali”. Tutti gli autori citati comunque concordano sul punto che l’associazione deve essere rappresentata da un determinato tipo di combinazione di specie (combinazione specifica caratteristica) che comprende le specie caratteristiche, le specie differenziali e le specie compagne con elevati valori di presenza.
Le specie caratteristiche sono più o meno esclusive e distinguono l’associazione rispetto a tutte le altre presenti nel territorio indagato o in tutto il loro areale geografico. Talvolta possono mancare del tutto ed allora la diagnosi si fonda sulla presenza di un congruo numero di specie differenziali.
Le specie differenziali sono entità ad ampia valenza cenologica, presenti cioè in diverse associazioni, che tuttavia possono concentrarsi in gruppi di rilievi di una determinata associazione, contribuendo a discriminarli dagli altri. In questo modo all’interno di una determinata associazione vengono definite subassociazioni e varianti differenziate dal punto di vista ecologico. In qualche caso le specie differenziali sono utilizzate anche per individuare associazioni, non discriminabili sulla base di specie caratteristiche.
Le specie compagne sono invece specie ad ampia valenza ecologica e cenologica, reperibili in più associazioni, tuttavia senza alcun legame preferenziale con nessuna di esse. Nella combinazione specifica caratteristica vengono prese in considerazione le specie compagne che sono presenti in almeno il 60% dei rilievi dell’associazione in oggetto.
Nello studio tipologico della vegetazione non sempre è possibile classificare un determinato aggruppamento vegetale come associazione. Ciò accade in genere quando la fitocenosi oggetto di studio non si presenta chiaramente caratterizzata dal punto di vista floristico, perché priva di specie diagnostiche, oppure quando la sua composizione floristica risulta particolarmente eterogenea. La mancanza di entità diagnostiche ricorre con una certa frequenza nella vegetazione idrofitica, dove le fitocenosi sono spesso costituite da poche specie, tra cui la predominante talvolta è scarsamente diagnostica in senso fitosociologico. In questo caso la fitocenosi viene classificata come aggruppamento, denominato secondo la specie dominante.
Come i rilievi vengono riuniti a costituire le associazioni, così anche queste si possono riunire, sempre sulla base di affinità floristiche, in complessi più ampi, allo scopo di ottenere uno schema di maggior sintesi (sistema sintassonomico, o di classificazione della vegetazione). L’associazione costituisce la categoria (o syntaxon) di base di questo schema dove vengono stabilite convenzionalmente delle categorie sintassonomiche (syntaxa) superiori ed inferiori. Le prime si distinguono, secondo un ordine gerarchico crescente, in alleanza, ordine, classe, le seconde sono la subassociazione e la variante.
L’alleanza è costituita da due o più associazioni ecologicamente affini, generalmente vicarianti in territori vicini. È individuata per mezzo di specie caratteristiche comuni solo alle associazioni che la costituiscono. L’ordine è un insieme di alleanze individuato da specie caratteristiche proprie, mentre la classe riunisce uno o più ordini floristicamente e, quindi, ecologicamente affini; anche la classe può essere individuata da specie caratteristiche proprie.
Per quanto riguarda le categorie sintassonomiche subordinate all’associazione la subassociazione viene individuata se all’interno dell’associazione sono riscontrabili, all’esame floristico, situazioni differenziali corrispondenti a condizioni microclimatiche, edafiche o corologiche particolari; per la diagnosi della subassociazione si usano le specie differenziali. La variante è caratterizzata soprattutto da differenze nei valori di copertura di una o più specie, che appaiono dominanti in un particolare gruppo di rilievi.
Ad ogni categoria sintassonomica viene attribuito un suffisso convenzionale, in particolare:
Associazione : -etum
Subassociazione : -etosum
Alleanza : -ion
Ordine : -etalia
Classe : -etea

Esistono anche syntaxa di valore intermedio, quali ad esempio sottoclassi o suballeanze, con altri suffissi.




7 La Flora e la Vegetazione caratteristica dei Siti Archeologici

L’area in esame ospita numerose specie che rivestono particolare interesse naturalistico-ambientale. Il fine del presente studio è stato quello di analizzare gli aspetti floristici e vegetazionali, limitatamente alla componente vascolare, che caratterizza il paesaggio vegetale dei siti archeologici in genere, e nello specifico dei suddeti siti archeologici. L'elaborazione di un inventario dei taxa ospitati all'interno di questi biotopi, nonché delle comunità vegetali, si ritiene una base indispensabile per la valutazione delle emergenze specifiche e la conseguente messa a punto delle strategie di gestione più opportune per il territorio esaminato, in ordine con le esigenze di protezione.
L'inventario della flora censita, organizzato alfabeticamente per famiglia e presentato sotto forma di tabulato, fornisce, per ogni singolo taxon raccolto e determinato, il binomio scientifico, l'autore che per primo ne ha fornito una diagnosi, la famiglia di appartenenza, il tipo corologico e la forma biologica, comprensiva anche della rispettiva sottoforma, secondo PIGNATTI (1982).
I tipi corologici rinvenuti con maggiore frequenza nell'area indagata secondo PIGNATTI (1976), sono i seguenti:
* Steno-Mediterraneo: specie con areale limitato alle coste mediterranee con un periodo secco estivo. Al suddetto tipo corologico son stati associati anche i seguenti: Steno-Medit., W-Medit., S-Medit., E-Medit., N-Medit., SW-Medit., NW-Medit., SE-Medit., NE-Medit., Steno-Medit-Turan., Centro-Medit., Medit-Mont., Centro-Medit-E., Medit.Macarones.
* Euri-Mediterraneo: specie con areale limitato alle coste mediterranee con un periodo secco estivo, ma esteso verso nord ed est. Vi si comprendono anche le specie Euri-Medit., Euri-Medit-Turan., Euri-Medit-Atl.
Endemico e subendemico: specie con areale limitato a una regione, o parte di essa, o ad una zona ristretta del Mediterraneo.
* Europeo: specie il cui areale insiste in Europa ( Europeo, Europeo-Caucas, SE-Europ.).
* Euroasiatico: specie con areale esteso sull'Europa ed Asia (Euroasiat., Eurosib.).
* Paleotemperato: specie euroasiatiche che ricorrono anche in Nord Africa (Paleotemp. Asiat.).
* Cosmopolita: specie con areale esteso in tutto il mondo o buona parte di esso (Subcosmopolita).
* Circumboreale: specie presenti in zone fredde e temperato-fredde dell'Asia e nord America.
* Paleotropicale e Subtropicale: specie con areale esteso nelle zone tropicali e subtropicali dell'Africa e dell'Asia.
I taxa specifici ed intraspecifici sono stati riuniti in gruppi accomunati dalla stessa forma biologica, secondo la metodologia proposta da RAUNKIAER (1934).
Il sistema di classificazione di Raunkiaer si basa sugli adattamenti morfologici acquisiti dagli organismi vegetali per il superamento dei periodi climaticamente avversi. Infatti, a seconda dell'ambiente in cui vivono, tutte le piante mostrano alcune caratteristiche anatomiche e fisiologiche volte alla protezione, durante il periodo avverso, dei tessuti embrionali presenti nelle gemme (o nei semi) e che ritorneranno a svilupparsi al ripristino delle condizioni favorevoli. Queste particolari caratteristiche, e principalmente la diversa posizione delle gemme dormienti, hanno permesso a Raunkiaer di suddividere le piante in vari gruppi ecologici, o clasi di forme biologiche, suddivise a loro volta in sottoforme.
L'insieme delle varie forme biologiche, rilevate in una data area e la relativa frequenza calcolata rispetto al totale, ci forniscono lo spettro biologico. Grazie a questa semplice metodologia è possibile raffrontare flore diverse, evidenziarne le differenze esistenti ed estrapolarne utili informazioni di tipo ecologico e bioclimatico. Viene di seguito riportato, in breve, il significato dei termini adottati per individuare le diverse forme biologiche:
* Terofite (T): piante annuali che superano la stagione avversa sotto forma di seme. Si tratta di piante erbacee che espletano il ciclo biologico in meno di un anno e superano la stagione avversa, che in ambienti mediterranei coincide con quella caldo-arido estiva, sotoforma di semi.
* Geofite (G): piante perenni che durante la stagione avversa non presentano organi aerei ele gemme sono portate da organi sotteranei (bulbi, rizomi, tuberi).
* Emicriptofite (H): piante perenni con gemme svernanti a livello del terreno, protette dai residui vegetali, dal terriccio e dalla neve.
* Camefite (Ch): piante perenni legnose, con gemme portate su rami fino a 20-30 cm dal suolo. Vengono distinte ulteriormente in fruticose, se sono legnose anche nei rami secondari, e suffruticose se lignificate soltanto alla base.
* Fanerofite e nanerofite (P-NP): piante perenni legnose che portano le gemme ad un'altezza dal suolo superiore ai 30 cm.


L’indagine sulla flora ha permesso di elaborare un inventario floristico di 285 specie ripartite in 191 generi e 56 famiglie. Dall'elenco floristico sono stati ricavati lo spettro biologico e lo spettro corologico che esprimono rispettivamente le percentuali delle forme biologiche e dei gruppi corologici (corotipi) all'interno dell'intero contingente floristico dell'area studiata PIGNATTI (1982).
Le famiglie più rappresentative risultano essere quella delle Asteraceae, comprendente 46 taxa suddivisi in 35 generi, seguita dalle Graminaceae costituita da 41 taxa di 26 generi, seguita dalle Fabaceae con 30 taxa di 10 generi, dalle Rosaceae ripartiti in 9 generi, dalle Lamiaceae con 10 taxa di 10 generi, seguono un grande numero di famiglie costituite ciascuna da esigui numeri di taxa.
Lo spettro biologico, calcolato sulle entità censite, evidenzia con 111 taxa la netta prevalenza delle Terofite (T), corrispondenti al 38,9 % dell'intera flora. Seguono le Emicriptofite (H) con 108 taxa (37,8 %), le Geofite (G) con 27 taxa (9,4 %), le Fanerofite (P + NP) con ( 8% ) e, infine le Camefite che con 16 taxa incidono solo per l'5,6 %.
La componente più nobile della flora , rappresentata dalle specie endemiche e subendemiche, consta di 24 entità. Esse afferiscono a 11 famiglie di cui la più rappresentativa numericamente è la famiglia delle Asteraceae con 8 specie di cui: Anthemis arvensis subsp. sphacelata, Jacobea lycopifolia, Carlina sicula, Echinops ritro subsp. Siculus, Carduus nutans subsp. Siculus, Tragopogon prrifolius subsp. Cupanii, Crepis vesicaria subsp. bivonana, Crepis vesicaria subsp. Hyemalis. La famiglia delle Caryophyllaceae con 4 specie: Silene sicula subsp. Sicula, Petroragia saxifraga subsp. Gasparinii, Dianthus siculus , Dianthus gasparinii. Per quanto riguarda le supspecie, esse afferiscono alla famiglia delle Iridaceae con Iris pseudopumila, Crocus longiflorus. Tra le endemiche risalta la presenza Stipa sicula graminacea endemica esclusiva della sicilia, di cui si tratterà meglio in seguito.


Forme Biologiche
Taxa
Incidenza
( % )
Terofite ( T )
112
39,30%
Emicriptofite ( H )
108
37,89%
Geofite (G)
27
9,47%
Fanerofite ( P + NP )
23
8,07%
Camefite (Ch )
15
5,26%
Totale
285
100%
Tab. 2 Spettro Biologico



Fig. 4 Spettro Biologico





Per quanto attiene allo spettro corologico, va rilevato che il contingente endemico con 24 taxa, di cui 21 endemiche e 3 subendemici, risulta discretamente rappresentato, facendo registrare una incidenza percentuale complessiva del '8,4% sull'intera flora presente nell'area studiata.
Il contingente Mediterraneo prevale nettamente nella composizione dello spettro corologico. Esso risulta caratterizzato con 117 taxa dall'elemento Steno-Mediterraneo (41 % ) e da quello Euri-Mediterraneo con 67 taxa ( 23,5 % ). Modesta è l'incidenza dei contingenti Cosmopolita (2,8% ), Paleotemperato ( 7% ), Euroasiatico ( 2,4 %) ed Europeo ( 4,5 % ) altri (1,7 %).

Gruppi Corologici
Frequenza Assoluta
Frequenza Relativa %
Steno-Mediterraneo
120
42,1%
Euri-Mediterraneo
69
24,21%
Endemiche
24
8,42%
Paleotemperato
22
7,72%
Europeo
16
5,61%
Euro-Asiatiche
14
4,91%
Cosmopolita
9
2,81%
Circumboreale
5
1,75%
Sub-Atl-Subtrop
6
2,11%
Totale
285
100%
Tab. 3 Spetrro Corologico


Fig. 5 Spettro Corologico


7.1 Analisi della vegetazione

Lo studio del paesaggio vegetale è stato eseguito attraverso il rilevamento della componente fitocenotica individuata su base fisionomico-strutturale e rilevata con metodo sincronico secondo la metodologia fitosociologica proposto da BRAUN-BLANQUET. I rilevamenti, riuniti in tabelle contingentate, sono stati effettuati nella primavera-estate del 2012. Le comunità vegetali individuate e rilevate vengono di seguito descritta nei loro caratteri essenziali e classificate secondo le norme in uso della sintassonomia.


Fig. 6 Vegetazione Monte alburchia

Tab. 4 - Aggr. a Thymus spinulosus e Macromeria graeca

Numero dei rilevamenti
1
Superfice in (mq)
30
Copertura (%)
90
Inclinazione (%)
40
Esposizione
N
Rocciosità affiorante (%)
15


Car. Cerastio-Astragalion nebrodensis e unità sup.

Thymus spinulosus
4
Teucrium chamaedrys
2
Avenula cincinnata
1
Silene sicula
1
Altre specie

Micromeria graeca subsp. graeca
4
Calamintha nepeta
1
Dactylis hispanica
1
Pallenis spinosa
1
Allium subhirsutum
1
Hypochoeris laevigata
1
Euphorbia rigida
1
Eryngium campestre
1
Urospermum dalechampii
+
Tolpis sp.
+
Hioseris radiata
+
Urginea maritima
+



Sulle creste, in occasione nei tratti in cui si verificano delle discontinuità nelle pendenze ed affiora la roccia del substrato geolitologico si rinviene una particolare comunità fisionomizzata da Thymus spinulosus. Si tratta di un particolare aspetto di vegetazione durevole che si insedia in stazioni cacuminali come quelle di Monte S. Calogero probabilmenete anche con ruolo primario. Potrebbe essere interpretata come una variante termofila del Carduncello-Thymetum spinulosi Brullo & Marcenò in Brullo 1984 (Alleanza Cerastio-Astragalion nebrodensis) nota per l’area di Quacella a quote inferiori ai 1400 m, ma presente in altre aree della Sicilia quali Rocca Busambra, Monte Cammarata, Monte Rose, Pizzo Cangialoso, ecc., anche su substrati di natura diversa dal calcare quali flisch, argille scagiose, ecc. L’alleanza Cerastio-Astragalion nebrodensis Pignatti & Nimis ex Brullo 1984 va riferita all’ordine Erysimo-Jurinetalia bocconei Brullo 1984 (Rumici-Astragaletea siculi Pignatti & Nimis in Pignatti & al. 1980 em. Mucina 1997), che riunisce aspetti di vegetazione erbaceo-camefitica orofila che si insedia sui suoli iniziali erosi derivati da rocce calcaree, dolomitiche, quarzitiche e metamorfitiche della Sicilia settentrionale (Sicani, Madonie, Nebrodi e Peloritani) nella fascia altimetrica compresa tra 980 e 1950 m di quota.



Tab. 5 – Aggr. a Avenulo cincinnatae-Brachypodietumum phoenicoidis

Numero di rilevamenti
1
2
Superfice (mq)
100
100
Inclinazione (%)
40
45
Copertura (%)
90
100
Esposizione
NW
N

Sp. car. Avenulo cincinnatae-Brachypodietumum phoenicoidis
Brachypodium phoenicoidis
5
5
Avenula cincinnata
2
+
Car. Avenulo-Ampelodesmion e unità super.
Dactylis hispanica
2
3
Calamintha nepeta
1
.
Stipa sicula
.
1
Silene sicula
.
1
Galium pallidum
.
+
Trisetum flavescens
.
+
Calamintha nepeta
.
+
Scolymus grandiflorus
.
+
Urginea maritima
.
+
Micromeria graeca subsp. graeca
1
.
Asphodeline lutea
+
.
Altre specie
Thymus spinulosus
2
.
Euphorbia rigida
1
.
Carduus nutans subsp. siculus
.
1
Galactites tomentosa
.
1
Eryngium campestre
.
1
Lathyrus cicera
.
+
Silene coeli-rosa
.
+










Gariga a Thymus spinulosus e Micromeria greca

Sui versanti settentrionali di Monte S. Calogero nei tratti a maggiore pendenza nei quali si manifestano processi di erosione che assottiglia lo spessore dei suoli fino a portare a nudo il substrato geolitologico la prateria fisionomizzata da Stipa sicula lascia ampi spazi ad un aspetto a dominanza Brachypodium phoenicoidis. I brachypodieti a Brachypodium phoenicoidis, specie abbastanza rara in Sicilia e localizzati in questi versanti settentrionali di Monte S. Calogero, all’interno della fascia bioclimatica del Meso-Mediterraneo umido e subumido. Avenulo cincinnatae-Brachypodietumum phoenicoidis è una associazione endemica della Sicilia, composta da una elevata concentrazione di specie cespitose che colonizza i pendii ripidi caratterizzati da suoli bruni abbastanza evoluti, con una elevata componente argillosa e con buona dotazione di sostanza organica. Dal punto di vista dinamico viene interpretata come una prateria connessa con i processi di degradazione di boschi mesofili sempreverdi dell’Aceri campestris-Quercetum ilicis (Brullo C. et al., 2010).



Tab. 6 – Aggr. a Avenulo cincinnatae-Stipetum siculae

Numero del rilevamento
1
2
3
4
Superficie (mq)
100
100
100
100
Copertura (%)
90
85
80
90
Pendenza (%)
25
15
10
10
Quota (m)




Esposizione
N
W
W
W





Car. Avenulo cincinnatae-Stipetum siculae
Stipa sicula
5
4
4
4





Car. alleanza Avenulo cincinnatae-Ampelodesmion e unità superiori
Asphodelus microcarpus
2
.
2
2
Atractilis gummifera
.
2
2
3
Micromeria graeca subsp. graeca
.
2
2
3
Avenula cincinnata
3
2


Dactylis hispanica
2


2
Carlina sicula
.
.
2
2
Convolvulus cantabrica
.
.
+
1
Scorzonera villosa
.
.
1
1
Crupina crupinastrum
.
.
1
1
Dianthus siculus
.
+

1
Galium pallidum
.
.
2
.
Carex flacca subsp. serrulata
1
.
.
.
Urospermum dalechampii
1
.
.

Anthyllis vulneraria subsp. maura
.
+
.
.
Asphodeline lutea
.
.
1
.
Lolium perenne
.
.
1
.
Petrorhagia saxifraga
.
.
1
.
Sixalis atropurpurea subsp. maritima
.
.
1
.
Stipa barbata
.
.
1

Pallenis spinosa
.
.
.
1





Altre specie
Eryngium campestre
2
2
3
3
Euphorbia rigida
2
2
3
3
Thymus spinulosus
2
3
1
2
Plantago serraria
2
2
.
.
Scolymus grandiflorus
1
.
1
.
Polycarpon diphyllum
2
.
.
.
Antoxanthum odoratum
2
.
.
.
Coridothymus capitatus
.
2
.
.
Festuca heterophylla
.
2
.
.
Carduus siculus
.
1
.
.
Ferula communis
+
.
.
.
Ononis breviflora
+
.
.
.
Echium italicum
.
.
+
.
Urginea maritima
.
.
.
+
Iris pseudopumila
.
.
.
+



Avenulo cincinnatae-Stipetum siculae è un’associazione endemica della Sicilia, della quale i popolamenti più densi e suggestivi, con riferimento all’aspetto assunto dalla specie dalla fase della fioritura fino alla dispersione, si rinvengono proprio su Monte S. Calogero. Questa associazione si insedia preferenzialmente nelle aree particolarmente sottoposte all’azione del vento, su substrati calcarei con rocciosità affiorante e con suoli abbastanza primitivi, all’interno della fascia bioclimatica riferibile al Mesomediterraneo umido, tra i 700 ed i 900 m di quota. In questa prateria Ampelodesmos mauritanicus gioca un ruolo secondario rispetto a Avenula cincinnata, specie a distribuzione Mediterranea centrale e Stipa sicula, endemica delle Madonie. In alcuni tratti sembra quasi che la regressione dell’Ampelodesmeto, contrastato dagli allevatori a causa della scarsa offerta foraggera, favorisca nei tratti più ventosi l’affermazione dello stipeto di Stipa sicula. Dal punto di vista dinamico sembra che l’Avenulo-Stipetum siculae possa essere legato ai processi di degradazione dei boschi originari riferiti all’Aceri campestris-Quercetum ilicis (BRULLO C. et al., 2010).
Dal punto di vista sintassonomico l’Avenulo-Stipetum siculae viene riferito all’Avenulo-Ampelodesmion mauritanici Minissale 1995, alleanza nella quale vengono inquadrati gli ampelodesmeti della Sicilia riferita, a sua volta, all’ordine Hyparrhenietalia hirtae Rivas-Martínez 1978 (Classe Lygeo-Stipetea.), che riunisce le praterie perenni steppiche, con il massimo di distribuzione nel Mediterraneo occidentale, che si rinvengono in diverse diversi substrati, quali calcari, dolomie, graniti, marne, gneiss, rocce metamorfiche e vulcaniche, in condizioni di clima xero-termo-mediterraneo. Si tratta di comunità caratterizzate fisionomicamente dalla dominanza di piante erbacee perenni, come Hyparrhenia hirta, Ampelodesmos mauritanicus, Piptatherum miliaceum, Stipa sp. pl., Arundo collina, ecc. Le espressioni di vegetazione più rappresentative ricadono all'interno della cintura termomediterranea, ma non di rado anche nell’Infra- e nel Meso-Mediterraneo. Questo syntaxon include comunità secondarie dinamicamente legate ai boschi termofili dei Quercetalia ilicis o alla macchia dei Pistacio-Rhamnetalia alaterni (= Quercetalia calliprini). Espressioni primarie di queste praterie sono poco comuni e, generalmente, circoscritte ad affioramenti rocciosi o pendii ripidi dove l'evoluzione della vegetazione è localmente ostacolata dalle difficili condizioni edafiche e microclimatiche dei siti dove si rinvengono.
La classe Lygeo-Stipetea Rivas-Martínez 1978 comprende formazioni erbose secche, dei territori Mediterranei e Macaronesici, caratterizzate dalla dominanza di grandi emicriptofite caespitose perenni, principalmente della famiglia Poaceae, le cui condizioni bioclimatiche ideali si trovano all'interno dei termotipi termo e mesomediterraneo con ombrotipi da secco a subumido. Le diverse comunità vegetali comprese in questa classe di solito sono legate a condizioni ambientali molto xeriche e in genere possono essere trovate su substrati molti diversi, per lo più caratterizzati da terreni primitivi e fortemente erosi. Questa vegetazione è rappresentata principalmente da comunità vegetali secondarie, - legate ai processi di degradazione a causa dell’incendio, del pascolo, dei processi di deforestazione e dell’eccessivo sfruttamento antropico delle formazioni forestali originarie, ossia di boschi di querce (Quercetalia ilicis) o della macchia mediterranea (Pistacio-Rhamnetalia alaterni) - anche se talvolta possono avere un ruolo primario di tipo edafo-climacico.


Tab.7- Aggr. a Trachynia distachya

Numero del rilevamento
1
Superficie (mq)
5
Copertura (%)
100
Inclinazione (%)
45
Quota (m)

Esposizione
N


Car. Trachynion distachyae e unità superiori
Trachynia distachya
5
Lagurus ovatus
2
Briza maxima
2
Bromus fasciculatus
2
Linum strictum strictum
+
Altre specie

Cynosurus echinatus
3
Aegilops geniculata
2
Helianthemum salicifolium
1
Trifolium phleoides
+
Nigella damascena
+


Praterelli effimeri

Tra i piccoli arbusti di Coridothymus capitatus o nei tratti in cui affiora la rocciosità del substrato geo-pedologico si insediano espressioni prative fisionomizzate da specie annuali termo-xerofile a carattere basifilo o neutrofilo. Dal punto di vita sintassonomico questi praterelli vengono riferiti all’alleanza Trachynion distachyae, all’ordine Trachynietalia distachyae e classe Stipo-Trachynietea distachyae sintaxa che raggruppano la vegetazione annuale termo-xerofila basifila o neutrofila ampiamente diffusi in tutto il Mediterraneo.




Tab. 8 - Aggr. a Festuca heterophilla - Avenula cincinnata

Numero del rilevamento
1
Superficie (mq)
100
Copertura (%)
100
Pendenza (%)
45
Quota (m)

Esposizione
NW
Altezza vegetazione (cm)
45


Avenula cincinnata
4
Festuca heterophylla
3
Antoxanthum odoratum
3
Dactylis hispanica
3
Eryngium campestre
2
Cynosurus cristatus
2
Calamintha nepeta
2
Sixalis atropurpurea subsp. maritima
1
Micromeria graeca graeca
1
Stipa sicula
1
Centaurium erytraea
1
Allium subhirsutum
1
Tolpis virgata
+
Carduncellus coerulens
+
Atractylis gummifera
+
Silene coeli-rosa
+
Carduus nutans subsp. siculus
+
Urospermum dalechampii
+
Pulicaria odora
+


Praterie a Avenula cincinnata e Festuca heterophylla

Sul versante settentrionale di Monte S. Calogero si rinvengono dei banchi di Flysh numidico accompagnati da affioramenti quarzarenitici sui quali evolvono dei suoli più profondi. Su questi substrati si insediano degli aspetti prativi con Avenula cincinnata e Festuca heterophylla. Quest’ultima specie in particolare caratterizza formazioni forestali mesofile di tipo montano con latifoglie e/o conifere, a distribuzione Atlantica, CentroEuropea con propaggini fino alla Regione Caucasica, e Nord Mediterranea, generalmente rappresentati da comunità climatofile riferite all’ordine Fagetalia sylvaticae Pawlowski in Pawlowski et al. 1928 (classe Querco roboris-Fagetea sylvaticae Br.-Bl. & Vlieger in Vlieger 1937). La specie, inoltre, caratterizza il Festuco heterophyllae-Quercetum congestae (Brullo & Marcenò 1985), una fitocenosi forestale acidofila caratterizzata da varie querce, descritta per il versante occidentale dell’Etna e per il versante meridionale dei Nebrodi. La presenza di Festuca heterophylla in un inusitato aspetto di prateria non è da escludere possa rappresentare una sorta di testimonianza dell’originario paesaggio boschivo, come verrà meglio discusso più avanti.

Tab. 9 – Aggr. a Coridothymus capitatus

Numero del rilevamento
1
Superficie (mq)
100
Copertura (%)
90
Inclinazione (%)
35
Quota (m)

Esposizione
NW
Altezza media vegetazione (cm)
40


Coridothymus capitatus
5
Micromeria graeca subsp. graeca
3
Atractylis gummifera
2
Thymus spinulosus
2
Stipa sicula
2
Festuca heterophylla
2
Carlina sicula
1
Petroragia saxifraga
1
Eryngium campestre
1
Carduus nutans subsp. siculus
1
Sedum tenuifolium
1
Stipa barbata
1
Petrorhagia saxifraga
1
Hypochoeris cretensis
+
Helianthemum salicifolium
+




Gariga a Coridothymus capitatus

Sul crinale del versante settentrionale di Monte S. Calogero si rinviene una particolare gariga aperta, con carattere permanentemente pioniero per via del processo di erosione, insediata sui pendii rocciosi a dominanza di Coridothymus capitatus. Questa specie propria di ambienti a marcata aridità dal carattere certamente termofilo fisionomizza e domina questa fitocenosi che viene riferita all’alleanza Cisto-Ericion e all’ordine Cisto-Ericetalia (Horvatic; 1958), che ingloba la vegetazione arbustiva termofila, tipo gariga, presente su substrati di varia natura distribuite dalla fascia costiera fino a quella montana dei territorio centromediterranei e circumadriatici. Questi sintaxa sono inquadrati nella classe Cisto-Micromerietea (Oberd. 1954 ), che comprende le formazioni arbustive termoxerofile a camefite e nanofanerofite, spesso ad habitus pulvinato-spinescente, di sostituzione, favorite dal frequente passaggio del fuoco, del Mediterraneo centrale e orientale, con specie indifferenti al substrato geopedologico nei quali si insediano. dal punto di vista dinamico è probabile si tratti di una tappa della serie edafo-xerofila del querceti acidofili del Festuco heterophyllae-Quercetum congestae.



RILEVAMENTO MONTE ALBURCHIA


Tab. 10 - Aggr. a Foeniculum vulgare

Numero di rilevamenti
1
2
3
4
5
6
Pr
Superfice (mq)
50
80
80
50
100
100
es
Copertura (%)
100
100
100
100
100
100
e
Inclinazione (%)
3
5
3
2
2

n
Esposizione
W
SW
S-SW
SW
S-SW
S-SW
z
Altezza vegetazione (cm)
50
5
60

50
50
e








Bromo oryzopsion miliaceae/Hyparrhenietalia/Lygeo-Stipetea
Foeniculum vulgare
4
4
4
4
4
4
6
Calamintha nepeta
3
3
2
3
4
4
6
Hordeum bulbosum
3
2
3
3
2
2
6
Dactylis glomerata
2
2
2
2
2
2
6
Asphodelus microcarpus
1
1
1
1
2
2
6
Achillea ligustica
.
1
.
.
+ - 1
1
3
Trifolium campestre
+
1
.
.
.
+
3
Silene vulgaris
.
.
1
1
.
.
2
Elaeoselinum asclepium
.
.
1
.
.
.
1
Asphodeline lutea
.
.
.
.
1
.
1
Onopordion illyrici/Carthametalia lanati/Onoprdetea acanthii
Rumex thirsoides
1
1
+
2
1
2
6
Carduus pycnocephalus
1
2
1
1
1
1
6
Scolymus grandiflorus
1
.
1
.
1
1
4
Eryngium campestre
.
+
.
1
2
1
4
Ferula communis
1
.
+
.
1
1
4
Carthamus lanatus
+
.
.
+
+
.
3
Cynara cardunculus
.
1
1
.
.
.
2
Cirsium scabrum
.
.
.
1
.
.
1
Onopordon illyricum
+
.
.
.
.
.
1
Verbascum sinuatum
.
.
.
.
.
+
1
Car. Echio-galactition/Thero brometalia/Stellarietea mediae
Vicia villosa subsp. varia
1
1
2
1
1
1
6
Dasypirum villosum
.
3
3
2
2
2
5
Bromus hordeaceus
1
2
2
2
1
.
5
Convolvus arvensis
1
+
.
1
1
1
5
Galium aparine
.
1
.
1
1
+
4
Torilis nodosa
+
1
+
.
.
+
4
Avena barbata
.
.
.
2
2
1
3
Avena fatua
1
.
.
1
2
.
3
Galactites tomentosa
.
+
.
.
2
1
3
Parietaria diffusa
.
.
1
+
.
.
2
Malva sylvestris
.
.
.
.
+
1
2
Echium italicum
.
+
.
.
.
+
2
Fedia cornucopiae
.
+
.
.
.
+
2
Bromus rubens
1
.
1
.
.
.
2
Lolium rigidum
1
.
.
.
.
.
1
Galium verrucosum
.
1
.
.
.
.
1
Altre specie
Poa sylvicola
2
1
1
1
1
.
5
Bromus gussonei
1
.
1
1
1
.
4
Antoxantum odoratum
.
1
.
2
1
2
4
Smirnium rotundifolium
+
.
1
+
2
.
4
Bromus lanceolatus

1
1

1
1
4
Cynosurus echinatus
1
.
2
.
.
.
2
Medicago scutellata
.
+
+
.
.
.
2
Artemisia arborescens
.
.
.
.
1
.
1
Crepis vesicaria
1
.
.
.
.
.
1
Medicago hispida
.
1
.
.
.
.
1
Kundmania sicula
.
+
.
.
.
.
1
Mandragora autumnalis
.
+
.
.
.
.
1
Thapsia garganica
.
.
.
.
+
.
1
Sonchus oleraceus
.
.
.
.
+
.
1
Nigella damascena
.
.
.
.
.
+
1
Centaurea nicaeensis
.
.
.
.
.
+
1


Prateria a Foeniculum vulgare

Il sito archeologico di Alburchia, composto da substrati evaporitici riferibili alla Terravecchia, ospitano tra i cumuli di pietre disposti con una certa regolarità e ancora visibili sul versante esposto a mezzogiorno, vestigia di antiche costruzioni, il soprassuolo vegetale risulta costituito da praterie pascolate completamente prive di ogni elemento legnoso riconducibile all’originario paesaggio vegetale. Si tratta di elementi dal carattere nitrofilo e subnitrofilo solo in parte riferibili al Bromo-Oryzopsion miliaceae O.Bolòs 1970, alleanza a distribuzione Mediterraneo occidentale che include comunità nitrofile dominate da grandi emicriptofite perenni, le cui condizioni ecologiche ideali si trovano tipicamente nei campi in stato di abbandono, nelle aree incolte ruderali o bordi di strada, all'interno della fascia bioclimatica Termomediterranea o raramente Mesomediterranea. Le associazioni pioniere di questa alleanza sono ampiamente diffuse in tutta l'isola. In realtà, l'alleanza Bromo-Oryzopsion sembra avere la sua più elevata diversità e ricchezza specifica proprio in Sicilia rispetto ad altri territori del Mediterraneo con condizioni climatiche simili. Questo è probabilmente dovuto alla intensa e atavica attività agro-pastorale che caratterizza questa Isola da molte migliaia di anni. Le associazioni incluse in questa alleanza sono dinamicamente collegate con diversi tipi di vegetazione, soprattutto in funzione dell'habitat in cui si sviluppano. In particolare, esse succedono alla vegetazione terofitica e subnitrofila dell’Echio plantaginei-Galactition tomentosae dei campi in abbandono colturale, mentre ai bordi delle strade e dei sentieri sostituisce le comunità vegetali appartenenti all’ Hordeion leporini. Quando il disturbo umano diminuisce, la vegetazione sinantropica del Bromo-Oryzopsion miliaceae viene di solito sostituita dalle praterie aride meno nitrofile della classe Lygeo-Stipetea. Sulla base delle analogie strutturali ed ecologiche tra le comunità vegetali di Bromo-Oryzopsion e le praterie di Dauco-Hyparrhenietalia (= Hyparrhenietalia hirtae Rivas-Martínez 1978) Costa & Mansanet (1981) trattano Bromo-Oryzopsion come alleanza dell'ordine Hyparrhenietalia hirtae Rivas-Martínez 1978, e come tale viene più o meno accettata da tutti gli specialisti.
La comunità rilevata, per il continuo disturbo a cui viene sottoposta attraverso il pascolamento continuo, ospita anche un nutrito contingente di xerofite nitrofile riferibili ai sintaxa Onopordion illyrici/Carthametalia lanati/Onopordetea acanthii e all’Echio-galactition/Thero brometalia/Stellarietea mediae. Afferiscono al primo gruppo di sintaxa un gruppo di specie perenni, diffuse ovunque in Sicilia, dalla fascia costiera fino a oltre 1000 m, come le carduacee spinose anche di grossa taglia come Carduus pycnocephalus, Scolymus grandiflorus, Ferula communis, Cynara cardunculus, Cirsium scabrum, Onopordon illyricum, ecc. Al secondo gruppo afferiscono le comunità nitrofile annuali caratterizzate dalla dominanza di terofite infestanti e ruderali collegate ad ambienti ruderali, viari e agli incolti a distribuzione oloartica con irradiazione cosmopolita. L’abbandono colturale e il diminuire del disturbo antropico ne determinano la sostituzione con le praterie steppiche dei Lygeo-Stipetea o i prati mesofili dei Molinio-Arrhenatheretea.


Tab. 11 – Aggr. a Thymus spinulosus e Micromeria graeca

Numero di rilevamenti
1
2
3
Superficie in (mq)
30
20
20
Copertura (%)
90
85
90
Rocciosità affiorante (%)
20
15
15
Inclinazione
5
3
5




Car. aggr..

Thymus spinulosus
4
4
3
Micromeria graeca subsp. graeca
2
3
4
Sedum album
1
1
3
Euphorbia rigida
1
1
1
Cuscuta epithymum
1
1
+
Galium pallidum
1
.
1
Petroragia saxifraga subsp. gasparrinii
+
+
.
Altre specie

Echinophora tenuifolia
2
2
1
Avenula cincinnata
2
2
1
Stipa barbata
3
.
.
Eryngium campestre
2
.
.
Scorzonera hirsuta
2
.
2
Hipochoeris laevigata
.
2
2
Hyoseris radiata
1
.
1
Anthemis arvensis subsp. sphacelata
.
1
+
Anthyllis vulneraria
2
.
.
Asphodelus microcarpus
1
.
.
Elaeoselinum asclepium
1
.
.
Trifolium scabrum
1
.
.
Vulpia ciliata
1
.
.
Medicago minima
1
.
.
Dactylis glomerata
1
.
.
Poa bulbosa
.
.
1
Silene sicula
.
.
1
Ononis reclinata
.
+
.



Sulle cenge esposte a nord di monte Alburchia si rinviene una stretta fascia di vegetazione ad andamento lineare fisionomizzate da camefite ad habitus prostrato fisionomizzata da Thymus spinulosus, Micromeria graeca subsp. greca, Galium pallidum, Euphorbia rigida, ecc.
Gli elevati indici di copertura raggiunti da Thymus spinulosus e la presenza di Petrorhagia saxifraga subsp. gasparrinii, suggeriscono che questa espressione di vegetazione possa rappresentare un aspetto molto impoverito delle formazioni erbaceo-camefitiche orofile riferite all’alleanza Cerastio-Astragalion nebrodensis (Erysimo-Juninetalia bocconei/Rumici-Astragaletea), molto ben rappresentate nella fascia montana e altomontana dei rilievi più elevati delle vicine Madonie, dove sono caratterizzate da una certa concetrazione di specie endemiche. Ben rappresentate, almeno per gli elevati indici raggiunti sono anche le camefite di ambienti più termofili che in questi frangenti si trovano al limite altimetrico superiore che sono rappresentanti delle formazioni arbustive termoxerofile dei Cisto-Micromerietea come Micromeria graeca subsp. graeca.



Tab. 12 – Aggr. a Avenulo cincinnatae-Stipetum barbatae

Numero dei rilevamenti
1
Superficie in (mq)
20
Copertura (%)
70
Inclinazione (%)
5


Car. Avenulo cincinnatae-Stipetum barbatae
Stipa barbata
3
Avenula cincinnata
2
Car. all. Avenulo ampelodesmion e unità superior.
Scorzonera hirsuta
2
Galium pallidum
2
Anthyllis vulneraria ssp. maura
2
Silene sicula
1
Petroragia saxifraga subsp. gasparrinii
+
Medicago lupulina subsp. cupaniana
+
Elaoselinum asclepium
+
Altre specie
Eryngium campestre
2
Anthemis sphacelata
1
Carlina sicula
1
Euphorbia rigida
1
Echinoflora tenuifolia
1
Crupina crupinastrum
+



Prateria a Stipa barbata e Avenula cincinnata
La parte più elevata di Monte Albuchia, esposta a settentrione ospita una fitocenosi caratterizzata dalla presenza di Stipa barbata e Avenula cincinnata. Si tratta di una associazione mesofila esclusivamente localizzata sulle creste montuose. Questa comunità vegetale trova la sua condizione ecologica ottimale nelle cenge e nei tratti particolarmente ventosi, tra 700 e 1000 m s.l.m all'interno della fascia bioclimatica mesomediterraneo subumida. Questa associazione si rinviene principalmente in stazioni primarie, a contatto con la comunità a piccoli arbusti dell’alleanza Cerastio-Astragalion nebrodensis. Anche l’eliminazione della vegetazione boschiva dei Quercetea ilicis libera spazi adatti per l’affermazione di questa cenosi.


Tab. 13 – Aggr. a Artemisia arborescens

Numero dei rilevamenti
1
2
Superfice in (mq)


Copertura (%)
70

Inclinazione (%)
20

Altezza in(cm)
70

Esposizione
SE




Artemisia arborescens
5
5
Micromeria graeca graeca
3
3
Dactylis glomerata
2
3
Asphodelus microcarpus
2
2
Pallenis spinosa
2
2
Foeniculum vulgare
2
2
Ferula communis
1
3
Eryngium campestre
2
1
Euphorbia rigida
2
1
Carduncellus pinnatus
2
.
Carlina sicula
2
.
Petroragia saxifraga
2
.
Melica ciliata
.
2
Scolymus grandiflorus
.
2
Avena barbata
.
2
Sedum stellatum
1
.
Onophorda illiricum
.
1
Galactites tomentosa
.
1
Rumex thyrsoides
.
1
Tordilium apulum
.
+
Centaurea micacensi
.
+







Tab. 14- Aggr. a Artemisia arborecens

Numero dei rilevamenti
1
2
3
4
5
6
7
P
Superfice in (mq)
150
130
150
180
180
00
150
r
Copertura (%)
90
90
85
80
90
90
80
e
Inclinazione (%)
30
35
35
35
40
35
35
s
Altezza vegetazione (cm)
70
75
70
80
75
80
80
e
Esposizione
SE
SE
E
E
SE
SE
SE
n








ze
Artemisia arborescens
5
5
5
5
5
5
5
7
Altre specie
Asphodelus microcarpus
3
2
3
3
2
2
2
7
Ferula communis
3
2
3
2
3
1
3
7
Dactylis glomerata
2
2
2
2
2
2
3
7
Foeniculum vulgare
2
2
1
2
1
2
2
7
Melica ciliata
3
2
+
1
1
.
2
6
Avena fatua
2
1
1
1
2
.
2
6
Scolymus grandiflorus
2
1
1
+
1
.
2
6
Pallenis spinosa
2
1
2
2
3
.
.
5
Nigella damascena
2
1
1
2
1
.
.
5
Carlina sicula
1
2
1
1
1
.
.
5
Dasypirum villosum
+
1
1
2
1
.
.
5
Elaeoselinum asclepium
1
2
+
1
1
.
.
5
Echinoflora tenuifolia
1
1
1
1
.
.
.
4
Carduncellus caeruleum
+
1
+
.
1
.
.
4
Phlomis erba-venti
.
1
+
.
2
.
.
3
Atractylis gummifera
1
.
.
.
2
.
.
2
Tragogon anfonei
+
+
.
.
.
.
.
2
Eryngium campestre
.
.
.
.
.
1
1
2
Pallenis spinosa
.
.
.
.
.
2
2
2
Euphorbia rigida
.
.
.
.
.
2
1
2
Micromeria graeca graeca
.
.
.
.
.
3
3
2
Bromus alopecuroides
1
.
.
.
.
.
.
1
Scabiosa maritima
+
.
.
.
.
.
.
1
Sinapis pubescens
+
.
.
.
.
.
.
1
Sedum stellatum
.
.
.
.
.
1
.
1
Carduncellus pinnatus
.
.
.
.
.
1
.
1
Petroragia saxifraga
.
.
.
.
.
2
.
1
Carlina sicula

.
.
.
.
2
.
1
Onopordon illyricum
.
.
.
.
.
.
1
1
Galactites tomentosa
.
.
.
.
.
.
1
1
Tordilium apulum
.
.
.
.
.
.
+
1
Centaurea nicaeensis
.
.
.
.
.
.
+
1



Artemisieto


Il versante orientale di Monte Alburchia è contraddistinto da notevoli pendenze e da un substrato geo-litologico con una componente sassosa molto elevata (formazione “terravecchia”), che ospita un soprassuolo legnoso composto esclusivamente da Artemisia arborescens. Gli individui sono abbastanza distanziati tra loro tanto che l’elevato livello di luminosità che si verifica tra gli arbusti permette l’insediamento di un ricco contingente di specie erbacee sia a ciclo perennante (emicriptofite) che a ciclo effimero (terofite). Artemisia arborescens è una specie pioniera, molto frugale e rustica che riesce a colonizzare diversi substrati, da quelli pietrosi e rocciosi a quelli plastici di tipo argilloso anche con elevati tassi di salinità. La specie si rinviene, infatti, con una certa frequenza in ambienti ad elevata naturalità come alcune espressioni di macchia mediterranea riferiti ai Pistacio-Rhamnetalia alaterni (= Quercetalia calliprini) ma si adatta a vivere anche in ambienti alquanto disturbati dall’uomo comportandosi da specie sinatropica e nitrofila o anche in ambienti con elevati tassi di salinità (Brullo S. et al., 2012).
L’artemisieto che insiste sul versante orientale di Monte Alburchia, come si evince in tabella, risulta essere carente di specie alofile. Un elevato indice di salinità, infatti, esercita una marcata azione selettiva sulla componente vegetale come si verifica in aree calanchive su substrati di origine evaporitica caratterizzati da elevate concentrazioni di cloruri. Questi ambienti vengono generalmente colonizzati da un corteggio di specie legnose alo-nitrofile riferite dal punto di vista sintassonomico ad una particolare alleanza definita, proprio in virtù della costante ed elevata prsenza di questa artemisi, Artemision arborescentis (Géhu e Biondi; 1986). Questo sintaxon comprende la vegetazione degli habitat disturbati, particoarmente sui pendii argillosi nei pressi di insediamenti umani, banchine stradali, cenge, su terreni con elevate concentrazione di fosforo e azoto. In questi ambienti, Artemisia arborescens si accompagna a Anagyris foetida e al altre specie sia arbustive che erbacee alonitrofile.
La vastità del popolamento rilevato ed il corteggio floristico composto da specie abbastanza sensibili ai tassi di salinità suggeriscono - analogamente a quanto si verifica in altri siti di grande intresse archeologico (Cesarò, Selinunte, Agrigento, ecc.) in Sicilia - che Artemisia arborescens si avvantaggia degli ambienti nitrofili e ruderali. Poichè in questi substrati a profilo alterato Artemisia arborescens vegeta sempre incontrastata ed assume carattere di stabilità permanente, si ritiene possa essere assunta come specie indicatrice di manufatti e di antichi insediamenti di interesse storico ormai completamente interrati. Queste riflessioni suggeriscono di concentrare la prospezione archeologica di tipo strumentale maggiormente alle superfici interessate da questo soprassuolo.



RILEVAMENTO DI CONTRADA MINGARDA/SOPRANO


L’area di Spingarda-Soprano, altra area di interesse archeologico, ospita sul versante settentrionale, uno dei pochi lembi boschivi ancora presenti nel territorio comunale di Gangi. In parte si tratta di un castagneto, certamente di impianto antropico, ma nella parte più elevata si rinvengono dei lembi di vegetazione forestale naturale di un certo interesse naturalistico-ambientale. In particolare sono sembrati di un certo rilievo le espressioni forestali di mantello, il castagneto ed i lembi di vegetazione forestale originaria con querce caducifoglie


Tab. 15 - Aggr. a Prunus spinosa

Numero di rilevamenti
1
Copertura (%)
100


Prunus spinosa
5
Ruscus aculeatus
3
Rubus ulmifolius
3
Foeniculum vulgare
2
Asparagus acutifolius
2
Rubia peregrina
1
Picris hieracioides
1
Cratageus monagyna
1
Brachypodium sylvaticum
1
Tamus communis
1
Pyrus amigdaliformis
1
Daucus carota
+
Quercus congesta
+



Arbusteto a Prunus spinosa

All’esterno del bosco gli spazi aperti ospitano dei lembi di arbusteto, la cui espansione viene limitata dall’uomo per evitare che invadano i pascoli, fisionomizzato da rosacee arbustive, quali Prunus spinosa, Rosa canina, Rubus ulmifolius, Crataegus monogyna, Pyrus amigdaliformis, ecc.., che raggiungono elevati indici di abbondanza. La presenza di specie spinose (Rubia peregrina, Asparagus acutifolius, Tamus communis) e di qualche lianosa rende questi mantelli completamente impenetrabili, tanto che vengono mantenuti come siepi nella delimitazione delle proprietà contadine. L’aspetto rilevato viene riferito al Pruno-Rubion ulmifolii O. Bolòs 1954 (ordine Prunetalia spinosae R.Tx. 1952, classe Rhamno-Prunetea Rivas Goday & Borja ex R.Tx. 1962), alleanza che ingloba la vegetazione arbustiva termofila di mantello forestale di ambienti ad elevata umidità atmosferica ed edafica caratterizzata dalla consistente presenza di elementi a distribuzione mediterranea e mediterraneo-atlantica.


Tab. 16 - Aggr. a Castanea sativa

Numero dei rilevamenti
1
Superfice in (mq)
250
Copertura (%)
100
Inclinazione (%)
25-35


Castanea sativa
5
Cyclamen hederifolium
3
Rubus ulmifolius
3
Ruscus aculeatus
3
Festuca heterophylla
2
Rumex acetosa
2
Ranunculus langinosus
2
Geum urbanum
2
Polystichum setiferum
2
Calamintha nepeta
2
Brachypodium sylvaticum
2
Carex distachia
2
Asplenium adiantum-nigrum
2
Alliaria petiolata
1
Echinops siculus
1
Quercus congesta
1
Quercus congesta
1
Quercus virgiliana
1
Rubia peregrina
1
Daphne laureola
1
Asparagus acutifolius
1
Rosa canina
1
Tamus communis
1
Asphodelus microcarpus
+


Castagneto


In Sicilia i castagneti soltanto nei versanti orientali e occidentali dell’Etna appaiono floristicamente ed ecologicamente del tutto naturali, mentre altrove, come in molte aree del Mediterraneo, generalmente sono di origine antropica. La presenza di individui monumentali, alcuni dei quali vecchi di 2000 anni sembrano confermare l’indigenato della specie sulle pendici del vulcano (Brullo C. et al., 2012).
Il castagneto rilevato nel territorio di Gangi sembra di origine antropica, come viene confermato dalla assoluta assenza di ogni forma di rinnovamento naturale.
Il corteggio floristico rilevato, composto da specie acidofile, evidenziano in particolare delle notevoli analogie con alcune formazioni forestali a querce caducifoglie di cui è fatto accenno anche in precedenza. In particolare è probabile che lo strato arboreo originario, composto da querce caducifoglie, possa essere stato in tempi recenti, sostituito con il castagno, dotato di tempi di accrescimento molto più veloci e come provano le ridotte dimensioni delle ceppaie.


Tab. 17 – Aggr. a Festuco heterophyllae-Quercetum congestae (Brullo & Marcenò 1985)
.
Numero di rilevamenti
1
2
3
Pr
Superfice in (mq)
400
350
350
es
Copertura (%)
100
100
100
en
Inclinazione (%)
25
30
30
ze





Car. associazione
Quercus congesta
3
4
4
3
Festuca heterophylla
.
1
+
2
Car. Erico-Quercion ilicis e unità superiori
Quercus dalechampii
2
2
2
3
Ruscus aculeatus
3
3
3
3
Lonicera etrusca
2
1
1
3
Cyclamen hederifolius
2
3
4
3
Mespilus germanica
2
2
2
3
Rubia peregrina
+
1
2
3
Quercus virgiliana
2
1
.
2
Polysticum setiferum
+
.
+
2
Trifolium bivonae
2
1
.
2
Clinopodium vulgare
.
1
1
2
Asplenium adiantum-nigrum
.
+
1
2
Carex distachia
1
.
2
2
Asparagus acutifolius
2
.
.
1
Carex distachya
.
.
2
1
Clematis vitalba
1
.
.
1
Echinops siculus
.
.
1
1
Geranium robertianum
.
.
1
1
Nectaroscordum siculum
.
.
+
1
Altre specie
Fraxinus ornus
2
2
2
3
Vinca major
2
2
2
3
Geum urbanum
1
2
2
3
Rosa canina
1
1
1
3
Cratageus monogyna
+
1
1
3
Silene sicula
1
1
.
2
Castanea sativa
+
1
.
2
Calamintha nepeta
.
1
2
2
Asparagus acutifolius
.
1
2
2
Hedera helix
2
.
.
1
Daphne laureola
1
.
.
1
Dactylis glomerata
.
2
.
1
Ranunculus languinosus
.
1
.
1
Allium subhirsutum
.
1
.
1
Brachypodium sylvaticum
.
2
.
1
Quercus congesta
.
1

1
Trifolium ochroleucum
.
1
1
1
Dactylis hispanica
.
.
2
1
Prunus spinosa
.
.
1
1
Daphne laureola
.
.
1
1
Achillea collina
.
.
+
1






Bosco di roverelle


Nella fascia più alta di Contrada Soprano su substrati quarzarenitici si rivengono lembi relitti di boschi a dominanza di querce caducifoglie. La composizione floristica permette di riferire questo bosco al Festuco heterophyllae-Quercetum congestae, fitocenosi forestale mesofila di tipo acidofilo, caratterizzata dalla dominanza di Quercus congesta, cui normalmente si associano altre querce quali Q. dalechampii e Q. virgiliana. Lo strato erbaceo è normalmente caratterizzato dalla presenza di specie nemorali mesofile dei Querco-Fagetea quali Festuca heterophylla, frammiste a specie più termofile dei Quercetea ilicis. L’associazione, legata a substrati silicei di varia natura, si rinviene nelle stazioni montane a quote comprese fra gli 800 e i 1300 m, nella fascia compresa tra il Mesomediterraneo subumido superiore ed il Supramediterraneo umido superiore. L’areale del Festuco heterophyllae-Quercetum congestae interessa la Calabria, limitatamente al versante tirrenico dell’Aspromonte, mentre in Sicilia si localizza nella parte occidentale e sud-occidentale dell'Etna e sui versanti meridionali della catena dei Nebrodi.
Dal punto di vista sintassonomico la fitocenosi viene riferita all’Erico-Quercion ilicis Brullo, Di Martino & Marcenò 1977, alleanza che aggrega la vegetazione forestale termofila, acidofila, del centro e Est Mediterraneo, riferita all’ordine Quercetalia ilicis Br.-Bl. ex Molinier 1934 em. Rivas-Martínez 1975 che include la vegetazione forestale termofila a querce sempreverdi (Quercus ilex, Q. suber) e caducifoglie (Q. virgiliana, Q. amplifolia, Q. dalechampii, Q. leptobalana) a distribuzione mediterranea e mediterraneo-atlantica, all’interno della classe Quercetea ilicis Br.-Bl. ex A. & O. Bolòs 1947, che nella Regione Mediterranea e Mediterraneo-Atlantica comprende la vegetazione legnosa arborea, arbustiva a sclerofille e arbustiva a caducifoglie estive.





















8 Elenco floristico
Taxon
El. corologico
For. biol.
Gruppo
PTERIDOPHYTA



POLYPODIACEAE



Polypodium cambricum L., Sp. Pl.: 1086 (1753) [Polypodium cambricum L. subsp. australe (Fee) Greuter & Burdet in Willdenowia 11: 24 (1981); Polypodium australe incl. “P. vulgare var. a.” sensu Guss. (1845); incl. “P. vulgare” sensu Lojac. (1909)
cum totis varietatibus]
Euri-Medit.
H ros

HYPOLEPIDACEAE



Pteridium aquilinum (L.) Kuhn in Kerst., Reise Ost-Afr. 3 (3): 11 (1879) [Bas. Pteris aquilina L., Sp. Pl.: 1075 (1753)]
Cosmopol.
G rhiz
3
ASPLENIACEAE



Asplenium adiantum-nigrum L., Sp. Pl.: 1081 (1753) [incl. A. adiantum-nigrum var. cuneifolium Lojac., non A. cuneifolium Viv.; incl. A. pimpinelloides Lojac.]
Paleotemp.-Subtropic.
H ros
3
Ceterach officinarum Willd., Anleit. Selbstud. Bot.: 578 (1804) subsp. officinarum [Isonym: DC. in Lam. & DC., Fl. Franc. ed. 3,
2: 566 (1805)]
Euras.-Temp.
H ros
1
ASPIDIACEAE



Polystichum setiferum (Forssk.) T. Moore ex Woynar in Mitt. Naturwiss. Vereines Steiermark 49: 181 (1913) [Bas. Polypodium setiferum Forssk., Fl. Aegypt. Arab.: 185 (1775)]
Circumbor.
G rhiz/H ros
3
SPERMATOPHYTA



ANGIOSPERMAE (MAGNOLIOPSIDA)



FAGACEAE



Castanea sativa Mill., Gard. Dict. ed. 8: n. 1 (1768) [C. vesca Gaertn.]
SE-Europ.
P scap
3
Quercus dalechampii Ten., Ind. Sem. Horti Neapol. 1830: 15 (1830)
SE-Europ.
P scap
3
Quercus virgiliana (Ten.) Ten., Fl. Napol. 5: 262 (1836) [Bas. Q. robur var. virgiliana Ten., Syll. Pl. Fl. Neapol.: 134 (1831); Q. apennina Guss. (1845) p.p. non Lam. (1783); Q. cupaniana Guss. (1845); Q. pubescens Guss. (1845) p.p. non Willd. (1805)]
SE-Europea
(Pontica)
P scap
3
Quercus congesta C. Presl in J. & C. Presl, Delic. Prag.: 32 (1822)
NW-Medit.
P scap
3
URTICACEAE



Parietaria judaica L., Fl. Palaest.: 32 (1756) [Parietaria diffusa Mert. & W. D. J. Koch in Rohl., Deutschl. Fl. ed. 3, 1: 827 (1823); ? incl. P. lorifolia Lojac. (1904)]
Euri-Medit.- Macaron.
H scap
2
Parietaria lusitanica L., Sp. Pl.: 1052 (1753) [incl. “P. filiformis” sensu Guss. non Ten.]
Steno-Medit.
T rept
1
SANTALACEAE



Osyris alba L., Sp. Pl.: 1022 (1753)
Euri-Medit.
NP

POLYGONACEAE



Rumex crispus L., Sp. Pl.: 335 (1753) [incl. R. elongatus Guss., Pl. Rar.: 130 (1826)]
Subcosmop.
H scap
2
Rumex acetosa L., Sp. Pl.: 337 (1753) [R. pseuoacetosa Bertol., Fl. Ital. 4: 252 (1839)]
Circumbor.
H scap
3
Rumex thyrsoides Desf., Fl. Atlant. 1: 321 (1798) [olim R. intermedius Guss. (1827) inde correctum (1843)]
W Medit.
H scap
2
CARYOPHYLLACEAE



Sagina apetala Ard., Animadv. Bot. Spec. Alt.: 22 (1763) [S. apetala subsp. ciliata (Fries) Hook. fil.; S. ciliata Fries in Liljeblad; S.reuteri Boiss.]
Euri-Medit.
T scap
1
Polycarpon tetraphyllum subsp. diphyllum (Cav.) O . Bolòs & Font Quer in Collet. Bot. (Barcelona) 6:356 (1962) [Bas. P diphyllum Cav.; Icon 2 (2) : 40, pl. 151, f. 1 (1973)]
SW-Medit.
T scap
1
Silene vulgaris (Moench) Garcke, Fl. N. Mitt. Deutschland ed. 9: 64 (1869) subsp. vulgaris [Bas. Behen vulgaris Moench, Methodus: 709 (1794); Silene inflata Sm. nom. illeg.]
E Medit.-Mont.
H scap
2
Silene italica subsp. sicula (Ucria) Jeanm. in Willdenowia 14: 46 (1984) [Bas. Silene sicula Ucria, Pl. Linn. Op. Addend. Secund. Linn. Syst. (F. Carta 1959): n. 9 (ante 1793); “Silene italica var. pauciflora” sensu Guss. (1843) non Moris; Silene italica var. montana Guss. (1827)]
Endem.
H ros
1,3
Silene coeli-rosa (L.) Godr. in Gren. & Godr., Fl. France 1: 221 (1847) [Bas.v Agrostemma coeli-rosea L., Sp. Pl.: 436 (1753); Lychnis coeli-rosa DC.; Eudianthe coelirosa (L.) Reichenb.]
SW Medit.
T scap
1
Silene nocturna L., Sp. Pl.: 416 (1753) subsp. nocturna
S Medit.-Macar.
T scap
2
Petrorhagia illyrica subsp. haynaldiana (Janka) P. W. Ball & Heywood, loc. cit.: 134 (1964) [Bas. Gypsophila haynaldiana Janka ex Nyman, Consp. Fl. Eur.: 100 (1878); Gypsophila cretica Guss., Fl. Sicul. Prodr. 1: 488 (1827) non (L.) Sm.; Syn. “Tunica
illyrica var. cretica” sensu Fiori; T. cretica sensu Lojac. non Boiss.]
S Medit.
H caesp
1,3
Petrorhagia saxifraga subsp. gasparrinii (Guss.) Greuter & Burdet in Greuter & Raus in Willdenowia 14 (1): 44 (1984) [Bas. Gypsophila gasparrinii Guss., Fl. Sicul. Syn. 1: 474 (1843); P. saxifraga (L.) Link subsp. gasparrinii (Guss.) Pignatti (1982)
comb. inval.]
Endem.
H caesp
1
Dianthus siculus C. Presl in J. & C. Presl, Delic. Prag.: 59 (1822) [Syn. Dianthus sylvestris subsp. siculus (C. Presl) Tutin in Feddes Repert. Spec. Nov. Regni Veg. 68: 190 (1963); D. garganicus subsp. siculus (C.Presl) Pignatti]
Endem.
H scap
(Ch suffr)
1
Dianthus gasparrinii Guss., Fl. Sicul. Syn. 1: 479 (1843) [D. caryophyllus subsp. gasparrinii (Guss.) Arcang. (1894)]
Endem.
H scap
3
RANUNCULACEAE



Nigella damascena L., Sp. Pl.: 534 (1753)
Euri-Medit.
T scap
1,2
Clematis vitalba L., Sp. Pl.: 544 (1753)
Europeo-Caucas.
P lian
3
Ranunculus lanuginosus var. umbrosus (Ten. & Guss.) P. Fourn., Quatre Fl. France: 359 (1936) [R. umbrosus Ten. & Guss. in Ten., Syll. Pl. Fl. Neapol. App. Quinta: 15 (1842); “R. nemorosus” sensu Guss. (1834) non DC. (1817)]
Europ.-Caucas.
H scap
3
Ranunculus millefoliatus Vahl, Symb. Bot. 2: 63 (1791) [incl. R. garganicus Ten. + R. fumariaefolius Desf.]
Medit.-Mont.
H scap
2
PAEONIACEAE



Paeonia mascula subsp. russoi (Biv.) Cullen & Heywood in Feddes Repert. Spec. Nov. Regni Veg. 69: 35 (1964) [Bas. Paeonia russoi Biv., Stirp. Rar. Sic. Descr. 4: 12 (1818)]
Subendem.?? o
C Medit. ??
G rhiz
3
PAPAVERACEAE



Papaver rhoeas L., Sp. Pl.: 507 (1753) subsp. rhoeas [P. roubiaei Viguier; P. integrifolium Viguier; P. aegadicum Lojac.]
E Medit.
(Archeofita?)
T scap
2
CRUCIFERAE



Alliaria petiolata (M. Bieb.) Cavara & Grande in Bull. Orto Bot. Regia Univ. Napoli 3: 418 (1913) [Bas. Arabis petiolata M. Bieb., Fl. Taur.-Cauc. 2: 126 (1808); Alliaria officinalis Andrz. ex M. Bieb.]
Paleotemp.
H bienn
3
Cardamine hirsuta L., Sp. Pl.: 655 (1753)
Cosmopol.
T scap
2
Rapistrum rugosum subsp. orientale (L.) Arcang., Comp. Fl. Ital.: 49 (1882) [Bas. Myagrum orientale L., Sp. Pl.: 640 (1753); R. clavatum (Poir.) DC.]
Euri-Medit.
T scap
2
Sinapis pubescens L., Mant. Pl.: 95 (1767) [Brassica pubescens (L.) Ard.]
SW Medit.
Ch suffr
2
Hirschfeldia incana (L.) Lagr.-Foss., Fl. Tarn Garonne: 19 (1847) [Bas. Sinapis incana L., Cent. Pl. 1: 19 (1755); Brassica adpressa Boiss.; incl. S. heterophylla Lag.; S. geniculata Desf.; incl. “Sinapis laevigata” sensu Lojac. non L.]
Medit.-Macaron.
Hscap(T scap)
1
CRASSULACEAE



Umbilicus horizontalis ( Guss) DC., Prodr. 3: 400 (1828) [Cotyledon horizontalis Guss., Ind. Sem. Hort. Bocad. 1826:4 (1826)]
Steno-Medit.
G bulb
1
Sedum amplexicaule subsp. tenuifolium (Sm.) Greuter in Willdenowia 11: 277 (1981) [Sedum tenuifolium (Sm.) Strobl; Sempervivum tenuifolium Sibth. & Sm.]
Steno-Medit.
Ch succ
1
Sedum album L., Sp. Pl.: 432 (1753) subap. album [S. clusianum Guss. (1843); incl. var. athoum Lojac. an DC.]
Euri-Medit.
Ch succ
2
Sedum stellatum L., Sp. Pl.: 431 (1753)
Steno-Medit.
T scap
2,3
Sedum dasyphyllum L., Sp. Pl.: 431 (1753) var. dasyphyllum [S. neapolitanum Ten.; incl. S. nebrodense Gasparr.]
Euri-Medit.
Ch succ
1
Sedum hispanicum L., Cent. Pl. 1: 12 (1755) [S. eriocarpum Sm.; S. glaucumWaldst. & Kit.; “S. glaucum var. eriocarpum” sensu Lojac.]
SE Europ. (Pontico)
T scap
2
Sedum caeruleum L., Mant. Pl. Alt.: 241 (1771) [S. heptapetalum Guss. non Poir.]
SW Medit.
T scap
1,2
ROSACEAE



Rubus ulmifolius Schott in Isis Oken 1818: 821 (1818) [incl. R. panormitanus Tineo = R. ulmifolius fo. panormitanus (Tineo) Lojac. + R. diversifolius Tineo, Pl. Rar. Sicil. 3: 41 (1846) = R. ulmifolius var. diversifolius (Tineo) Focke, Sched. Herb. PAL cited
in Lojacono (1891: 169); “R. fruticosus” sensu auct. pl. Fl. Sic.; “R. linkianus” sensu Guss. (1832) non Ser. in DC. (1825); R. siculus C. Presl (saltem ex parte) non Guss.]
Euri-Medit.
NP
1,3
Rosa canina L., Sp. Pl.: 491 (1753)
Paleotemp.
NP
3
Agrimonia eupatoria L., Sp. Pl.: 448 (1753)
Subcosmop.
H scap
3
Sanguisorba minor Scop., Fl. Carniol. ed. 2, 1: 110 (1771) subsp. minor [Poterium dictyocarpum Spach; P. glaucescens Rchb.; P. cinctum Lojac. in Malpighia 20: 210 (1906)]
Paleotemp.
H scap
1
Geum urbanum L., Sp. Pl.: 500 (1753) [“G. intermedium” auct. non G. ×intermedium Ehrh. (1791)]
Circumbor.
H scap
3
Mespilus germanica L., Sp. Pl.: 478 (1753)
S Europ.-Pontico
P caesp/P scap
3
Pyrus pyraster (L.) Duroi, Harbk. Baumz. ed. 1, 2: 215 (1772)
Eurasiat.
P scap
1
Pyrus spinosa Forssk., Fl. Aegypt. Arab.: 211 (1775) [Pyrus amygdaliformis Vill.; incl. P. tinei Tod. ex Decne.]
Steno-Medit.
P scap

Crataegus monogyna Jacq., Fl. Austriac. 3: 50, tab. 292, fig. 1 (1775) var. monogyna [Mespilus monogyna (Jacq.) All.; C. triloba Poir., Voy. Barbarie 2: 177 (1789); Mespilus triloba (Poir.) Poir. in Lam., Encycl. Meth. Bot. 4: 439 (1798); C. brevi spina Kunze; C. parvifolia Lojac. (1909); Mespilus polyacantha Jan ex Guss., Fl. Sicul. Syn. 2 (2): 830 (1845); Crataegus monogyna Jacq. var. azarella (Griseb.) Fiori, Nuova Fl. Anal. Ital. 1 (5): 786 (1924); Crataegus monogyna Jacq. subsp. azarella (Griseb.)
Paleotemp.
P caesp
3
Prunus spinosa L., Sp. Pl.: 475 (1753) [?incl. P. ramburei Lojac. (1909) non Boiss.]
Europ./Caucas.
P caesp/NP
3
FABACEAE



Vicia villosa subsp. varia (Host) Corb., Nouv. Fl. Normandie: 181 (1894) [Bas. V. varia Host, Fl. Austriac. 2: 332 (1831); V. dasycarpa Ten., Succ. Relaz. Viaggio Abruzzo: 21(1830)]
Euri-Medit.
T scap (H bienn)
2
Lathyrus cicera L., Sp. Pl.: 730 (1753) [L. erythrinus C. Presl (1826)]
Euri-Medit.
T scap
1
Ononis viscosa subsp. breviflora (DC.) Nyman, Consp. Fl. Eur.: 161 (1878) [Bas. Ononis breviflora DC., Prodr. 2: 160 (1825); incl. O. longearistata C. Presl]
S Medit.
T scap
1
Melilotus sulcatus Desf., Fl. Atlant. 2: 193 (1799) [incl. M. compactus Salzm. ex Guss.]
S Medit.
T scap
2
Medicago truncatula Gaertn., Fruct. Sem. Pl. 2: 349 (1791) var. truncatula [incl. M. tribuloides Desr. in Lam. + M. truncatula ? minor Gaertn.]
Endem.
T scap
2
Medicago doliata Carmign. in Giorn. Pisano 12: 48 (1810) [M. aculeata Willd. non Gaertn.; M. turbinata Willd.; incl. M. muricata Guss. + M. neglecta Guss. + M. olivaeformis Guss.; Syn. M. turbinata sensu Fiori non All. nec Willd.; ?M. hispida Gaertn. nom. illeg. var. terebellum (Willd.) Fiori]
Steno-Medit.
T scap
2
Medicago tuberculata (Retz.) Willd., Sp. Pl. 3 (2): 1410 (1802) [Bas. M. polymorpha var. tuberculata Retz., Observ. Bot. 2: 23 (1781); M. turbinata (L.) All. nom. confusum; M. apiculata Willd.; M. hispida var. apiculata (Willd.) Fiori; incl. M. tubercolata var. longeaculeata Lojac. (1909); M. turbinata subsp. spinulosa (DC.) Ponert]
Steno-Medit.
T scap
2
Medicago rugosa Desr. in Lam., Encycl. Meth. Bot. 3: 632 (1792) [M. elegans Pourr. ex Willd. nom. illeg.]
S Medit.
T scap
2
Medicago murex Willd., Sp. Pl. 3 (2): 1410 (1802) [M. sorrentinii Tod. in Linnaea, 30: 759 (1860); M. sicula Tod., Ind. Sem. Horti Panorm. 1868: 27 (1868)]
Steno-Medit.
T scap
2
Medicago scutellata (L.) Mill., Gard. Dict. ed. 8: Medicago n. 2 (1768) [Bas. Medicago polymorpha var. scutellata L., Sp. Pl.:779 (1753)]
Euri-Medit.
T scap
1,2
Medicago polymorpha L., Sp. Pl.: 779 (1753) emend. Heyn in P. H. Davis & al., Fl. Turkey 3: 499 (1970) var. polymorpha [Medicago hispida Gaertn. nom. illeg. var. nigra (Willd.) Fiori; M. nigra (L.) Krock., Fl. Siles. 2 (2): 244 (1790); ?M. histrix Ten.; M. terebellum Willd. (1803) p.p.; M. reticulata Guss. (1834) non M. reticulata Benth. = M. polymorpha var. brevispina]
Euri-Medit.-
ora
Subcosmopol.
T scap
2
Trifolium nigrescens Viv., Fl. Ital. Fragm.: 12 (1808) subsp. nigrescens
Euri-Medit.
T scap
2,3
Trifolium bivonae Guss., Fl. Sicul. Prodr. 2: 512 (1828)
Endem.
H scap
2
Trifolium campestre Schreb. in Sturm, Deutschl. Fl. Abth. 1, 16: fol. 13-14 (1804) var. campestre [“T. agrarium” sensu Lojac. (1891)]
Paleotemp. (W)
T scap
1,2
Trifolium scabrum L., Sp. Pl.: 770 (1753) subsp. scabrum
Dry uncultivated land. – Throughout the region. – C.

Euri-Medit.
T rept/T scap
1,2
Trifolium cherleri L., Demonstr. Pl.: 21 (1755)
Euri-Medit.
T scap
2
Trifolium angustifolium L., Sp. Pl.: 769 (1753) subsp. angustifolium
Euri-Medit.
T scap
1,2,3
Trifolium ochroleucon var. roseum (C. Presl) Guss., Fl. Sicul. Prodr. 2: 498 (1828) [Bas. T. roseum C. Presl in J. & C. Presl, Delic. Prag.: 50 (1822)]


1,3
Trifolium squamosum L., Amoen. Acad. 4: 105 (1759) [T. maritimum Huds.]
Euri-Medit.
T scap
3
Trifolium spumosum L., Sp. Pl.: 771 (1753)
Steno-Medit. E
T scap
2
Trifolium subterraneum L., Sp. Pl.: 767 (1753) subsp. subterraneum
Euri-Medit.
T rept
2
Trifolium tomentosum L., Sp. Pl.: 771 (1753)
Paleotemp. (W)
T rept
2
Trifolium repens L., Sp. Pl.: 767 (1753) subsp. repens
Paleotemp.
H rept
2
Anthyllis vulneraria subsp. busambarensis (Lojac.) Pignatti in Giorn. Bot. Ital. 111 (1-2): 46 (1977) [Bas. Vulneraria heterophylla var. busambarensis Lojac., Fl. Sicul. 1 (2): 47 (1891); Vulneraria heterophylla Guss. (1828) p.p.]
Endem.
H scap
2
Lotus ornithopodioides L., Sp. Pl.: 775 (1753)
Steno-Medit.
T scap
1
Lotus edulis L., Sp. Pl.: 774 (1753)
Steno-Medit.
T scap
1
Hippocrepis multisiliquosa L., Sp. Pl.: 744 (1753)
Steno-Medit.
T scap
1
Scorpiurus muricatus subsp. subvillosus (L.) Thell. in Mem. Soc. Sci. Nat. Math. Cherbourg 38: 339 (1912)
Euri-Medit.
T scap
2
Onobrychis aequidentata (Sm.) Dum.-Urville in Mem. Soc. Linn. Paris 1: 346 (1822) [Bas. Hedysarum aequidentatum Sm. in Sibth. & Sm., Fl. Graec. Prodr. 2: 84 (1813); O. cretica Desv.; incl. O. aequidentata subsp. foveolata (DC.) Širj. (1925) + O. speculum Lojac. (1891) = O. depressa C. Presl]
E Medit. (Steno)
T scap
12
Onobrychis caput-galli (L.) Lam., Fl. Franc. 2: 651 (1779) [Bas. Hedysarum caputgalli L., Sp. Pl.: 751 (1753)]
Steno-Medit.
T scap
2
GERANIACEAE



Geranium molle L., Sp. Pl.: 682 (1753) [G. stipulare Kunze; incl. G. molle var. grandiflorum Lojac. + var. maritimum Lojac.]
Eurasiat.
Tscap/H bienn
1,2,3
Geranium robertianum L., Sp. Pl.: 681 (1753)
Subcosmop.
Tscap/H bienn
3
Geranium sanguineum L., Sp. Pl.: 683 (1753)
Europ.-Caucas.
H scap
2
Erodium acaule (L.) Bech. & Thell. in Repert. Spec. Nov. Regni Veg. 25: 215 (1928) [Bas. Geranium acaule L., Syst. Nat. ed. 10, 2: 1143 (1759); E. romanum (Burm. fil.) L’Her. in Aiton (1789)]
Medit.-Mont.
H ros
1,3
LINACEAE



Linum decumbens Desf., Fl. Atlant. 1: 278 (1798)
W Medit.
T scap
1
Linum bienne Mill., Gard. Dict. ed. 8: n. 8 (1768) var. bienne
Euri-Medit.-Subatl.
Hbienn/Hscap
1
Linum strictum L., Sp. Pl.: 279 (1753) subsp. strictum [L. strictum var. capitatum Guss.]
Steno-Medit.
T scap
1,2
Linum corymbulosum Rchb., Fl. Germ. Excurs.: 834 (1832) [Linum strictum L. subsp. corymbulosum (Rchb.) Rouy]
Steno-Medit.
T scap
1
EUPHORBIACEAE



Chrozophora tinctoria (L.) Raf., Chlor. Aetn.: 4 (1813) [Bas. Croton tinctorium L., Sp. Pl.: 1104 (1753); Isonymus: A. Juss., Euphorb. Gen.: 84(1824) ]
Medit.-Turan.
T scap

Euphorbia rigida M. Bieb., Fl. Taur.-Cauc. 1: 375 (1808) [E. biglandulosa Desf.]
S Europ.-Pontico
Ch suffr
1
Euphorbia helioscopia L., Sp. Pl.: 459 (1753)
Cosmopol.
T scap

Euphorbia exigua L., Sp. Pl.: 456 (1753) var. exigua
Euri-Medit.
T scap
2
POLYGALACEAE



Polygala monspeliaca L., Sp. Pl.: 702 (1753)
Steno-Medit.
T scap
2
MALVACEAE



Malva cretica Cav., Diss.: 67 (1786)
Steno-Medit.
T scap
2
Malva sylvestris L., Sp. Pl.: 689 (1753) subsp. sylvestris [incl.: M. erecta C. Presl in J. & C. Presl; M. tomentella C. Presl, Fl. Sicul.: 174 (1826); M. racemosa C. Presl in J. & C. Presl; M. sylvestris subsp. erecta (C. Presl) Nyman; M. polymorpha Guss. (1844)]
Eurosiber.
(Subcosmopol.)
Hscap(T scap)
2
Malva parviflora L., Demonstr. Pl.: 18 (1753) [M. flexuosa Hornem. (1815); “M. parviflora” sensu C. Presl (1826) = M. parviflora L.; M. aggregata Lojac. (1909)]
Euri-Medit.
T scap

Malva trimestris (L.) Salisb., Prodr. Stirp. Chap. Allerton: 381 (1796) [Bas. Lavatera trimestris L., Sp. Pl.: 692 (1753)]
Steno-Medit.
T scap

THYMELAEACEAE



Daphne gnidium L., Sp. Pl.: 357 (1753)
Steno-Medit.-Macaron.
P caesp
3
Daphne laureola L., Sp. Pl.: 357 (1753)
Submedit.-Subatl.
P caesp
3
CLUSIACEAE (GUTTIFERAE)



Hypericum perfoliatum L., Syst. Nat. ed. 12, 2: 510 (1767) [H. ciliatum Desr. in Lam.]
Steno-Medit.
H scap
1
Hypericum perforatum L., Sp. Pl.: 785 (1753) subsp. perforatum
Paleotemp.
H scap

CISTACEAE



Cistus creticus L., Syst. Nat. ed. 10, 2: 1077 (1759) subsp. creticus
C Medit.
NP
3
Cistus salvifolius L., Sp. Pl.: 524 (1753) [incl. C. sideritis C. Presl, Fl. Sicul. 1: 116 (1826); C. cupanianus C. Presl ex Spreng.]
Steno-Medit.
NP
3
Tuberaria guttata (L.) Fourr. in Ann. Soc. Linn. Lyon n.s., 16: 340 (1868) [Bas. Cistus guttatus L., Sp. Pl.: 526 (1753); incl. Helianthemum guttatum (L.) Mill. subsp. eriocaulon (Dunal) Arcang.; incl. Helianthmum guttatum var. vivianii (Pollini) Fiori =
Tuberaria acuminata Grosser 1903; Helianthemum guttatum Mill.; T. variabilisWillk.]
Euri-Medit. (Subatl.)
T scap
2
Helianthemum nummularium subsp. tomentosum (Scop.) Schinz & Thell. in Schinz & R. Keller, Fl. Schweiz ed. 2, 1: 361 (1909) [Bas. Cistus tomentosus Scop. in Ann. Hist. Nat. 2: 53 (1769); Helianthemum tomentosum (Scop.) Gray, Nat. Arr. Brit. Pl. 2: 663 (1821); H. tomentosum (Scop.) Schinz & Thell.]
Europeo-Caucas.

Ch suffr
1
Helianthemum salicifolium (L.) Mill., Gard. Dict. ed. 8: n. 21 (1768) [Bas. Cistus salicifolius L., Sp. Pl.: 527 (1753); H. rubellum Moench nom. illeg.]
Euri-Medit.
T scap
3
THELIGONACEAE



Theligonum cynocrambe L., Sp. Pl.: 993 (1753)
Steno-Medit.
T scap

ARALIACEAE



Hedera helix L., Sp. Pl.: 202 (1753) subsp. helix
Submedit.-Subatl.
P lian
3
APIACEAE (UMBELLIFERAE)



Eryngium tricuspidatum L., Amoen. Acad. 3: 405 (1756) var. tricuspidatum
SW Medit.
H scap
3
Eryngium dichotomum Desf., Fl. Atlant. 1: 226. t. 55 (1798)
SW Medit.
H scap
2
Eryngium campestre L., Sp. Pl.: 233 (1753)
Euri-Medit.
H scap
1,2,3
Echinophora tenuifolia L., Sp. Pl.: 239 (1753)
E Medit.-Turan.
H scap
2
Smyrnium rotundifolium Mill., Gard. Dict. ed. 8: n. 2 (1768)
S Medit.
H bienn
2,3
Pimpinella anisoides V. Brig., Nova Pimp. Spec. Diss.: 11 (1802)
Endem.
H scap
3
Foeniculum vulgare Mill., Gard. Dict. ed. 8: n. 1 (1768) subsp. vulgare [Meum foeniculum (L.) Spreng.; F. capillaceum Gilib.]
S Medit.
H scap
1,2,3
Kundmannia sicula (L.) DC., Prodr. 4: 143 (1830) [Bas. Sium siculum L., Sp. Pl.: 252 (1753); Brignolia pastinacifolia Bertol.]
Steno-Medit.
H scap
1,2
Ammoides pusilla (Brot.) Breistr. in Bull. Soc. Sci. Dauphine 61: 528 (1947) [Bas. Seseli pusillum Brot., Fl. Lusit. 1: 457 (1804); Ptycothis ammoides W. D. J. Koch; P. verticillata Duby; Petroselinum ammoides Rchb.; Seseli verticillatum Desf.]
Steno-Medit.
T scap
1,2
Tordylium apulum L., Sp. Pl.. 240 (1753)
Steno-Medit
T scap
1
Ferulago campestris (Besser) Grecescu, Consp. Fl. Roman.: 252 (1898) [Bas. Ferula campestris Besser, Enum. Pl.: 44 (1821); Ferula ferulago L., Sp. Pl.: 247 (1753); F. galbanifera Mill.]
SE Europ.-Pontica
H scap
3
Ferula communis L., Sp. Pl.: 246 (1753) [incl. Ferula nodiflora L.]
S Medit. (Euri)
H scap
1,2
Elaeoselinum asclepium (L.) Bertol., Fl. Ital. 3: 383 (1838) [Thapsia asclepium L., Sp. Pl.: 261 (1753)]
Steno-Medit.
H scap
2
Thapsia garganica L., Mant. Pl.: 57 (1767)
S Medit.
H scap
2
Torilis nodosa (L.) Gaertn., Fruct. Sem. Pl. 1: 82 (1788) subsp. nodosa [Bas. Tordylium nodosum L., Sp. Pl.: 240 (1753)]
Euri-Medit.-Turan.
T scap
2
Torilis arvensis (Huds.) Link, Enum. Hort. Berol. Alt. 1: 265 (1821) subsp. arvensis [Bas. Caucalis arvensis Huds., Fl. Angl.: 98 (1762); Torilis helvetica C. C. Gmel.; “T. infesta” sensu Lojac. (1891) p.p. excl. var. “anthriscoides”]
Subcosmop.
T scap
2
Daucus carota L. subsp. carota var. carota [incl. D. grandiflorus Guss. (1827) non Desf. nec Scop.]
Paleotemp.
Subcosmop.
H bienn
(T scap)
1,3
PRIMULACEAE



Cyclamen hederifolium Aiton, Hort. Kew. ed. 1, 1: 196 (1789) subsp. hederifolium [C. neapolitanum Ten.]
N Medit.- (Steno)
G bulb
3
Cyclamen repandum Sm. in Sibth. & Sm., Fl. Graec. Prodr. 1: 128 (1806) [C. romanum Griseb. (1844)]
N Medit.
G bulb

Anagallis arvensis L., Sp. Pl.: 148 (1753) subsp. arvensis [“A. phoenicea” sensu Guss. (1827); A. phoenicea Scop.; incl. A. arvensis subsp. latifolia (L.) Arcang.]
Euri-Medit
Subcosmopol.
T rept

Anagallis foemina Mill., Gard. Dict. ed. 8: n. 2 (1768) [A. caerulea Schreb.]
Steno-Medit.
Subcosmopol.
T rept
1
PLUMBAGINACEAE



Plumbago europaea L., Sp. Pl.: 151 (1753)
Steno-Medit.
Ch suffr

OLEACEAE



Fraxinus ornus L., Sp. Pl.: 1057 (1753)
Euri-Medit..-Pontico
P caesp/P scap
3
GENTIANACEAE



Centaurium erythraea Rafn, Danm. Holst. Fl. 2: 75 (1800) subsp. erythraea [Erythraea centaurium (L.) Pers. (1805)]
Paleotemp.
Hbienn/T scap
1,
Centaurium maritimum (L.) Fritsch in Mitt. Naturwiss. Vereins Univ. Wien ser. 2, 5: 97 (1904) [Bas. Gentiana maritima L., Mant. Pl.: 55 (1767); Erythraea maritima (L.) Pers.]
Steno-Medit. W
T scap
1
APOCYNACEAE



Vinca major L., Sp. Pl.: 209 (1753)
Euri-Medit.
Ch rept
3
RUBIACEAE



Asperula aristata subsp. scabra (J. & C. Presl) Nyman, Consp. Fl. Eur.: 334 (1879)[Bas. A. scabra J. & C. Presl, Delic. Prag. 124 (1822); A. longiflora Waldst. & Kit.; A. aristata L. fil. subsp. laevis Arcang., Comp. Fl. Ital.: 308 (1882)]
Medit.-Mont.
H scap/Ch suffr
1
Sherardia arvensis L., Sp. Pl.: 102 (1753)
Euri-Medit.
T scap
1,2
Asperula aristata subsp. scabra (J. & C. Presl) Nyman, Consp. Fl. Eur.: 334 (1879)[Bas. A. scabra J. & C. Presl, Delic. Prag. 124 (1822); A. longiflora Waldst. & Kit.; A. aristata L. fil. subsp. laevis Arcang., Comp. Fl. Ital.: 308 (1882)]
Medit.-Mont.
Hscap/Ch suffr
1
Galium lucidum All., Auct. Syn. Meth. Stirp. Hort. Reg. Taur.: 57 (1774) [G. rigidum Vill.; G. mollugo var. tenuifolium (All.) Fiori; incl. Galium pallidum C. Presl in J. & C. Presl]
Euri-Medit.
H scap
1,2
Galium aparine L., Sp. Pl.: 108 (1753) subsp. aparine var. aparine
Eurasiat.
T scap
2
Galium aparine subsp. spurium (L.) Hartm., Sv. Norsk Exc.-Fl.: 23 (1846) [G. spurium L.; G. aparine L. var spurium (L.) Wimm & Grab.; G. aparine var. vaillantii (DC.) W.D.J. Koch; G. aparine var. echinospermum (Wallr.) N. H. F. Desp.; G. agreste var. echinospermum Wallr.; G. spurium L. var. vaillantii (DC.) Gren. in Gren. & Godr.; G. aparine var. spurium (L.) Fiori]
Eurasiat.
T scap
2
Galium verrucosum Huds. in Philos. Trans. 56: 251 (1767) subsp. verrucosum [G. valantia Weber in Wiggers; G. saccharatum All.]
Steno-Medit.
T scap
2
Rubia peregrina L., Sp. Pl.: 109 (1753) subsp. peregrina [R. peregrina L. var. bocconi (Petagna) Fiori + R. peregrina L. var. lucida (L.) Fiori; incl. R. bocconi Petagna;]
Steno-Medit.-Macaron.
P lian
3
CONVOLVULACEAE



Cuscuta epithymum subsp. epithymum var. alba (C. Presl in J. & C. Presl) Trab. in Bull. Soc. Bot. France 53: 37 (1904) [Bas. C. alba C. Presl in J. & C. Presl, Delic. Prag.: 87 (1822); incl. C. subulata Tineo in Guss., Fl. Sicul. Syn. 2 (2): 888 (1845)]
Eurasiat.-Temp.
T scap
2
Convolvulus cantabrica L., Sp. Pl.: 158 (1753)
Euri-Medit.
H scap
1
Convolvulus arvensis L., Sp. Pl.: 153 (1753)
Paleotemp.
G rhiz
2
Convolvulus althaeoides L., Sp. Pl.: 156 (1753) [C. italicus Roem. & Schult.]
Steno-Medit. W
H scap

BORAGINACEAE



Cynoglossum creticum Mill., Gard. Dict. ed. 8: n.3 (1768) var. creticum [C. pictum Aiton]
Euri-Medit.
H bienn
2
Echium italicum L. subsp. siculum (Lacaita) Greuter & Burdet in Willdenowia 11 (1): 37 (1981) [Bas. E. italicum var. siculum Lacaita in J. Linn. Soc., Bot. 44: 408 (1919)]
Endem.
H bienn
1,2,3
Echium plantagineum L., Mant. Pl. Alt.: 202 (1771)
Euri-Medit.
Tscap/H bienn
2
VERBENACEAE



Verbena officinalis L., Sp. Pl.: 20 (1753)
Paleotemp.
H scap

LAMIACEAE (LABIATAE)



Teucrium chamaedrys L., Sp. Pl.: 565 (1753)
Euri-Medit.
Ch suffr
3
Phlomis herba-venti L., Sp. Pl.: 586 ( 1753)
Steno-Medit
H scap
1,2
Sideritis romana L., Sp. Pl.: 575 (1753) var. romana
Steno-Medit.
T scap
1,3
Prunella laciniata (L.) L., Sp. Pl. ed. 2: 837 (1763) [Bas. P. vulgaris var. laciniata L., Sp. Pl.: 600 (1753); P. alba M. Bieb. (1808); incl. ?P. coerulescens Lojac. (1904) an forma hybrida]
Euri-Medit.
H scap
1
Calamintha nepeta (L.) Savi, Fl. Pis. 2: 63 (1798) subsp. nepeta [Bas. Melissa nepeta L., Sp. Pl.: 593 (1753); Thymus nepeta Sm.; incl. C. gussonei Tod. ex Lojac. (1904) + C. spruneri Boiss. (1853) + C. elata Lojac. (1904)] (= Satureja calamintha subsp. nepetoides (Jordan) Br. Bl.)
Medit.-Mont.
(Euri)
H scap
1,2,3
Clinopodium vulgare subsp. orientale Bothmer in Bot. Not. 120: 206 (1967) [“C. vulgare L. subsp. arundanum” sensu Pignatti, Fl. Ital. (1982) vel Zangh., Fl. Ital. (1976) non (Boiss.) Nyman]
Circumbor.
H scap
3
Micromeria graeca (L.) Benth. ex Rchb., Fl. Germ. Excurs.: 311 (1831) subsp. graeca [Bas. Satureja graeca L., Sp. Pl.: 568 (1753)]
Steno-Medit.
Ch suffr
1,2
Origanum vulgare subsp. viridulum (Martrin-Donos) Nyman, Consp. Fl. Eur.: 592 (1881) [Bas. O. viridulum Martrin-Donos, Fl. Tarn: 551 (1864); O. heracleoticum auct. non L.; O. megastachyum Link]
Steno-Medit. SE
H scap
1,3
Thymus spinulosus Ten., Fl. Napol. 1, Prodr.: xxxv (1812) [T. zygis Ucria non L.; T. acicularis var. virescens Guss.; T. acicularis Ten., Guss. non Waldst. & Kit.; T. conspersus sensu Lojac. non ?elak.; T. rossi Lojac.; T. pedicellatus Lojac.]
Endem.
Ch rept
1
Coridothymus capitatus (L.) Rchb. fil. in Oesterr. Bot. Wochenbl. 6: 161 (1857) [Bas. Satureja capitata L., Sp. Pl.: 568 (1753); Thymus capitatus (L.) Hoffmanns. & Link]
Steno-Medit. E
Ch frut
1
SOLANACEAE



Mandragora autumnalis Bertol., Elench. Pl. Hort. Bot. Bon.: 6 (1820) [“M. officinarum” sensu Guss. (1827) non L.]
Steno-Medit.
G rhiz/H ros
2,3
SCROPHULARIACEAE



Verbascum sinuatum L., Sp. Pl.: 178 (1753) [incl. “V. undulatum” sensu Lojac. non Lam.]
Euri-Medit.
H bienn
2
Parentucellia viscosa (L.) Caruel in Parl., Fl. Ital. 6: 482 (1885) [Bas. Bartsia viscosa L., Sp. Pl.: 602 (1753); Eufragia viscosa (L.) Benth. in DC.]
Medit.-Atl.
T scap
3
Bellardia trixago (L.) All., Fl. Pedem. 1: 61 (1785) [Bas. Bartsia trixago L., Sp. Pl.: 602 (1753); Trixago apula W. C. Stev.]
Euri-Medit.
T scap
1
PLANTAGINACEAE



Plantago serraria L., Syst. Nat. ed. 10, 2: 896 (1759) [P. maritima auct. Fl. Ital. non L. s.s.]
Steno-Medit.
H ros
1,3
CAPRIFOLIACEAE



Lonicera etrusca Santi, Viagg. Montamiata 1: 113 (1795)
Euri-Medit.
P lian/P caesp
3
VALERIANACEAE



Fedia graciliflora Fisch. & C. A. Mey., Ind. Sem. Hort. Petrop. 6: 8, 50 (1840) var. graciliflora [F. cornucopiae sensu I. Richardson, Fl. Europ. 4: 52 (1976) pro max. p. non (L.) Gaertn.; F. cornucopiae (L.) Gaertn. subsp. graciliflora (Fisch. & C. A. Mey.) Nyman, Consp. Fl. Eur.: 338 (1879); Fedia cornucopiae var. pubescens Chiov. in Ann. Bot. (Rome) 17: 87 (1927); incl. Fedia caput-bovis Pomel, Nouv. Mat. Fl. Atl.: 72 (1874)]
Steno-Medit.
T scap
1,2
Centranthus ruber (L.) DC. in Lam. & DC., Fl. Franc. ed. 3, 4: 239 (1805) [Bas. Valeriana rubra L., Sp. Pl.: 31 (1753)]
Steno-Medit.
Ch suffr

Centranthus calcitrapae (L.) Dufr., Hist. Nat. Valer.: 39 (1811) [Bas. Valeriana calcitrapae L., Sp. Pl.: 31 (1753)]
Steno-Medit. W
T scap

DIPSACACEAE



Dipsacus fullonum L., Sp. Pl.: 97 (1753) [D. sylvestris Mill.; incl. D. arcimusci Lojac.]
Euri-Medit.
H bienn

Sixalix atropurpurea subsp. grandiflora (Scop.) Soldano & F. Conti in F. Conti & al., Checklist Ital. Vasc. Flora: 22 (2005) [Bas. Scabiosa grandiflora Scop., Delic. Fl. Faun. Insubr. 3: 29 (1788); Sixalix atropurpurea (L.) Greuter & Burdet in Greuter & Raus subsp. maritima (L.) Greuter & Burdet in Willdenowia 15 (1): 76 (1985); Scabiosa maritima L.; S. cupani Guss.; S. grandiflora Guss. (1843) excl. var. c.; incl. S. angulata Raf.]
Steno-Medit.
Hbienn/T scap
1,2
ASTERACEAE



Bellis perennis L., Sp. Pl.: 886 (1753) var. perennis fo. perennis [incl. “B. perennis var. microcephala” sensu Fiori non B. microcephala Boiss.]
Europeo-Caucas.

H ros
2,3
Filago germanica (L.) Huds., Fl. Angl.: 328 (1762) [Bas. Gnaphalium germanicum L., Sp. Pl.: 857 (1753); F. vulgaris Lam., Fl. Franc. 2: 61 (1779), nom. illeg.; F. canescens Jord.; F. eriocephala auct. non Guss.]
Paleotemp.
T scap
2
Dittrichia viscosa (L.) Greuter in Exsicc. Genav. Conserv. Bot. Distrib. 4: 71 (1973) [Bas. Erigeron viscosus L. Sp. Pl.: 863 (1753); Inula viscosa (L.) Aiton; Copularia viscosa (L.) Godr. & Gren.]
Euri-Medit.
H scap
1
Pulicaria odora (L.) Rchb., Fl. Germ. Excurs.: 239 (1831) [Bas. Inula odora L., Sp. Pl.: 881 (1753)]
Euri-Medit.
H scap
1,3
Anthemis arvensis subsp. sphacelata (C. Presl) R. Fern. in Bot. J. Linn. Soc. 70: 12 (1975) [Bas. A. sphacelata C. Presl in J. & C. Presl, Delic. Prag.: 103 (1822); A. brevifolia Lojac.]
Endem.
T scap
1
Pallenis spinosa (L.) Cass. in Cuvier, Dict. Sci. Nat. 39: 276 (1825) [Bas. Buphthalmum spinosum L., Sp. Pl.: 903 (1753)]
Euri-Medit.
H scap
1,2
Achillea ligustica All., Auct. Syn. Meth. Stirp. Hort. Reg. Taur.: 17 (1773) [A. sylvatica Ten.; A. sicula Raf.]
Steno-Medit. W
H scap
2,3
Achillea collina (Rchb. f.) Heimerl in A. Kern., Sched. Fl. Exsicc. Austro-Hung. 3: 116 (1883) [Bas. A. millefolium var. collina Rchb. fil. in Rchb. & Rchb. fil., Icon. Fl. Germ. Helv. 16 (1): 69 (1853)]
SE Europ.
H scap
3
Glebionis segetum (L.) Fourr. in Ann. Soc. Linn. Lyon. n.s., 17: 90 (1869)[ Bas. Chrysanthemum segetum L., Sp. Pl.: 889 (1753)]
Steno-Medit. -Turan. divenuta Euri-Medit.
T scap
2
Artemisia arborescens (Vaill.) L., Sp. Pl. ed. 2: 1188 (1763) [Bas. Absinthium arborescens Vaill. in Phys. Abh. Konigl. Akad. Wiss. Paris 5: 338 (1754)]
SW Medit.
NP/Ch caesp
2
Jacobaea lycopifolia (Poir.) Greuter & E. Nord. in Greuter & Raabe-Straube (ed.), Willdenowia 37: 181 (2007) [ Bas. Senecio lycopifolius Poir. in Lam., Encycl. Meth. Bot. Suppl. 5: 131 (1817); Syn. S. erucifolius subsp. lycopifolius (Poir.)) Nyman]
Endem.
Ch suffr
3
Carlina sicula Ten., Cat. Horti Neapol. App. ed. 2: 74 (1819) [=Carlina sicula Ten. subsp. sicula var. sicula]
Endem.
H scap
1,2,3
Carlina gummifera (L.) Less., Syn. Gen. Compos.: 12 (1832) [Bas. Atractylis gummifera L., Sp. Pl.: 829 (1753)]
S-Steno-Medit.
H ros
1,2
Echinops ritro subsp. siculus (Strobl) Greuter in Willdenowia 33: 58 (2003) [Bas. E. siculus Strobl in Flora 65: 505 (1882); “E. ruthenicus” sensu Guss. (1844) non M. Bieb.]
Endem.
H scap
3
Carduus nutans subsp. siculus (Franco) Greuter in Willdenowia 33: 52 (2003) [Bas. Carduus macrocephalus Desf., Fl. Atlant. 2: 245 (1799) subsp. siculus Franco in Bot. J. Linn. Soc. 71: 48 (1975)]
Endem.
H bienn
1
Carduus pycnocephalus L., Sp. Pl.: 1151 (1763) subsp. pycnocephalus
Eurimedit.-Turan.
H bienn
1,2
Carduus corymbosus Ten., Fl. Napol. 1, Prodr.: XLVIII (1812)
W-Europ. (Atl.)
T scap
2
Cirsium scabrum (Poir.) Bonnet & Baratte, Expl. Sci. Tunisie Cat.: 238 (1896) [Bas. Carduus scaber Poir., Voy. Barbarie 2: 231 (1789); Cnicus giganteus (Desf.) Willd., Sp. Pl. 3: 1671 (1803); Cirsium gigas Tineo]
SW-Medit.-Mont.
H scap
1,2
Galactites elegans (All.) Soldano in Atti Soc. Ital. Sci. Nat. Mus. Civico Storia Nat. Milano 131: 249 (1991) [Bas. Centaurea elegans All., Fl. Pedem. 1: 163 (1785); Galactites tomentosa Moench, Methodus: 558 (1794)]
Steno-Medit.
H bienn
1,2
Onopordum illyricum L., Sp. Pl.: 827 (1753) subsp. illyricum
Steno-Medit.
H bienn
1,2
Cynara cardunculus L., Sp. Pl.: 827 (1753) subsp. cardunculus var. cardunculus [C. horrida Aiton, Hort. Kew. ed. 1, 3: 148 (1789)]
Steno-Medit.
H scap
2
Centaurea calcitrapa, Sp. Pl.: 917 (1753)
Euri-medit.
H bienn
2
Centaurea sicula L., Sp. Pl.: 918 (1753) [Syn. C. nicaeensis All., Fl. Pedem. 1: 162 (1785); C. fuscata Desf.; ?incl. C. durieui Lojac. (1903)]
SW-Steno-Medit.
H bienn
2
Carduncellus coeruleus
Steno-Medit
H scap
1
Crupina crupinastrum (Moris) Vis., Fl. Dalmat. 2: 42 (1847) [Bas. Centaurea crupinastrum Moris, Fl. Sardoa 2: 443 (1840-1843); Crupina vulgaris subsp. crupinastrum (Moris) Arcang., Comp. Fl. Ital.: 385 (1882)]
Stenomedit.
T scap
2
Carthamus lanatus L., Sp. Pl.: 830 (1753) subsp. lanatus [Carthamus elatus (Gasp.) Nyman; C. turbinatus (Gasparr.) Nyman; Kentrophyllum turbinatum Gasparr. ex Guss. (1844)]
Eurimedit.
T scap
2
Scolymus grandiflorus Desf., Fl. Atlant. 2: 240 (1799)
SW-Eurimedit.
H scap
1,2
Catananche lutea L., Sp. Pl.: 812 (1753)
S-Medit.
T scap
2
Tolpis virgata (Desf.) Bertol.
Steno-Medit.
T scap
1
Hyoseris radiata L., Sp. Pl.: 808 (1753) [incl. H. baetica (Kunze) Font Quer]
W Steno-Medit.
H ros
1,2
Rhagadiolus stellatus (L.) Gaertn., Fruct. Sem. Pl. 2:354 (1791) [Bas. Lapsana stellata L., Sp. Pl.: 811 (1753); R. edulis Gaertn.]
Euri-Medit.
T scap
3
Urospermum dalechampii (L.) F. W. Schmidt in Samml. Phys.- Okon. Aufsatze: 276 (1795) [Bas. Tragopogon dalechampii L., Sp. Pl.: 790 (1753)]
Euri-Medit.
H scap
1,2
Urospermum picroides (L.) F. W. Schmidt in Samml. Phys.- Okon. Aufsatze: 275 (1795) [Bas. Tragopogon picroides L., Sp. Pl.: 790 (1753)]
Eurimedit.
T scap
2
Hypochaeris achyrophorus L., Sp. Pl.: 811 (1753) [Hypochaeris aethnensis Ball in J. Linn. Soc., Bot. 16: 542. 1878, nom. illeg.; Seriola aethnensis L., Sp. Pl. ed. 2: 1139 (1763), nom. illeg.]
Steno-Medit.
T scap
1
Hypochaeris cretensis (L.) Bory & Chaub. in Bory, Exped. Sci. Moree 3 (2) Bot. 3 (2): 237 (1832) [Bas. Seriola cretensis L., Sp. Pl. ed. 2: 1139 (1763); H. pinnatifida Ten., Fl. Napol. 1: 323 (1815); Metabasis neapolitana Nyman, Consp. Fl. Eur.: 471 (1879), nom. illeg.; M. cretensis (L.) DC., Prodr. 7: 307 (1838)]
NE-Medit.-Mont.
H scap
1
Hypochaeris laevigata (L.) Ces., Passer. & Gibelli, Comp. Fl. Ital.: 465 (1878) [Bas. Seriola laevigata L., Sp. Pl. ed. 2: 1139 (1763)]
SW-Medit.-Mont.
H ros
1
Picris hieracioides subsp. spinulosa (Guss.) Arcang., Comp. Fl. Ital.: 418 (1882) [Bas. Picris spinulosa Guss., Fl. Sicul. Syn. 2: 400 (1844); P. hieracioides L. var. spinulosa (Bertol.) Fiori p.p.; P. spinulosa Bertol.]
Eurosib.
H scap
3
Scorzonera laciniata L., Sp. Pl.: 791 (1753) [Podospermum laciniatum (L.) DC.; Scorzonera octangularis Hort. Ex Willd.]
Paleotemp.
H bienn
2
Scorzonera hirsuta L., Mant. Pl. Alt.: 278 (1771) [Tragopogon hirsutus Gouan, Fl. Monsp.: 342 (1764); Scorzonera eriosperma Gouan, Ill. Observ. Bot.: 52 (1773)]
NW-Steno-Medit.
H scap
2,3
Tragopogon porrifolius subsp. cupanii (DC.) I. Richardson in Bot. J. Linn. Soc. 71: 270 (1976) [Bas. Tragopogon cupanii DC., Prodr. 7: 113 (1838)]
Endem.
H bienn
2
Reichardia picroides (L.) Roth, Bot. Abh. Beobacht.: 35 (1787) [Bas. Scorzonera picroides L., Sp. Pl.: 792 (1753); Picridium vulgare Desf., Fl. Atlant. 2: 221 (1799), nom. illeg.]
Steno-Medit.
H scap
3
Sonchus oleraceus L., Sp. Pl.: 794 (1753)
Eurasiat.
T scap
2
Chondrilla juncea L., Sp. Pl.: 796 (1753)
Euri-Medit.-S-Siber. (Subpontica)
H scap
3
Crepis vesicaria L., Sp. Pl.: 805 (1753) subsp. vesicaria
Eurimedit.-Subatl.
T scap
2,3
Crepis vesicaria subsp. bivonana (Rchb.) Giardina & Raimondo
[Bas. Barkhausia bivonana Rchb. in Mossl., Handb. Gewachsk. ed. 2, 2 (2): 1408 (1829); Syn. C. purpurea Guss. (1844); C. bivoniana (Rchb.) Soldano & F. Conti, Checklist Ital. Vasc. Flora: 17 (2005)]
Endem. Sic.
T scap
3
Crepis vesicaria subsp. hyemalis (Biv.) Babc. in Univ. Calif. Publ. Bot. 19: 404 (1941) [Bas. Barkhausia hyemalis Biv., Stirp. Rar. Sic. Descr. 1: [17] (1813); Crepis hyemalis (Biv.) Ces., Passer. & Gibelli, Comp. Fl. Ital.: 457 (1878); “C. taraxacoides” sensu Guss. (1844) non Desf.]
Endem. Sic.
T scap
1
ANGIOSPERMAE (LILIOPSIDA)



ASPHODELACEAE



Asphodelus ramosus subsp. ramosus var. africanus Z. Diaz & Valdes in Boissiera 52: 56 (1996) [A. ramosus subsp. microcarpus (Viv.) Baker p.p.; “A. ramosus” sensu Guss. (1843) p.p.]
Steno-Medit.
G rhiz
1,2,3
Asphodeline lutea (L.) Rchb., Fl. Germ. Excurs.: 116 (1830) [Bas. Asphodelus luteus L., Sp. Pl.: 309 (1753)]
E-Eurimedit.
G rhiz
1,2
HYACINTHACEAE



Ornithogalum collinum Guss., Ind. Sem. Horto Boccad. (1825)
Endem.
G bulb
2
Charybdis pancration (Steinh.) Speta in Phyton (Horn) 38 (1): 60 (1998) [Bas. Squilla pancration Steinh.in Ann. Sci. Nat. Bot. Sér. 2, 6: 279 (1836); Syn. Charybdis maritima (L.) Speta in Phyton (Horn) 38 (1): 60 (1998) p.p.; Drimia maritima (L.) Stearn in Ann. Goulandris 4: 204 (1978) p.p.; Urginea maritima (L.) Baker p.p.; Urginea scilla Steinh. p.p.]
Steno-Medit Macarones
G bulb
1
Prospero autumnale (L.) Speta in Veroff. Intern. Arbeitsgem. Clussius-Forschung. Gussing 5: 4 (1982) [Bas. Scilla autumnalis L., Sp. Pl.: 309 (1753); S. australis Lojac.]
Euri-Medit.
G bulb
3
ALLIACEAE


1
Allium subhirsutum L., Sp. Pl.: 295 (1753)
Steno-Medit.
G bulb
1,3
Allium lehmannii Lojac., Fl. Sicul. 3: 114 (1909) subsp. lehmannii [A. pallens subsp. siciliense Stearn]
Endem. Sic.
G bulb
3
Allium lehmannii subsp. castellanense Garbari, Miceli & Raimondo in Atti Soc. Tosc. Sci. Nat., Mem. B, 101(1994): 141 (1995) [A. castellanense (Garbari & al.) Brullo, A. Guglielmo, Pavone & C. Salmeri]
Endem. Sic.
G bulb
3
Allium ampeloprasum L., Sp. Pl.: 294 (1753) [“A. rotundum” auct. sic.; A. albescens Guss., Enum. Pl. Inarim.: 338 (1854); incl. A. multiflorum Lojac. non Desf. + A. polyanthum Lojac. non Schult. & Schult. fil. (1830)]
Eurimedit.
G bulb
3
ASPARAGACEAE



Asparagus acutifolius L., Sp. Pl.: 314 (1753) [incl. A. brevifolius Tornab.]
Steno-Medit.
NP
3
RUSCACEAE



Ruscus aculeatus L., Sp. Pl.: 1041 (1753)
Euri-Medit
Ch frut
3
AMARYLLIDACEAE



Narcissus serotinus L., Sp. Pl.: 290 (1753) [N. serotinus L. ? typicus]
Steno-Medit.
G bulb

DIOSCORACEAE



Tamus communis L., Sp. Pl.: 1028 (1753)
Euri-Medit.
G rad
3
IRIDACEAE



Iris planifolia (Mill.) Fiori & Paoletti, Fl. Anal. Ital. 1 (1): 227 (1896) [Bas. Xiphion planifolium Mill., Gard. Dict. ed. 8: n. 4 (1768); Isonymus Iris planifolia (Andersson) Asch. & Graebn., Syn. Mitteleur. Fl. 3: 512 (1906); I. alata Poir.; I. scorpioides Desf.; Thelysia alata Parl.]
S-Steno-Medit.
G bulb
1
Iris pseudopumila Tineo, Cat. Pl. Horti Panorm.: 283 (1827) [incl. I. panormitana Tod.]
Subendem.
G rhiz
1
Crocus longiflorus Raf., Caratt. Nuov. Gen.: 84 (1810) [C. odorus Biv. non Vis.; incl. C. longiflorus var. parviflorus Lojac.; incl. “C. serotinus” Lojac. non Salisb. sed Bertol. + “C. sativus” sensu Lojac.]
Subendem.
G bulb

Romulea bulbocodium (L.) Sebast. & Mauri, Fl. Roman. Prodr.: 17 (1818) [Bas. Crocus bulbocodium L., Sp. Pl.: 36 (1753); incl. R. grandiflora Tineo ex Tod. (1857)+ R. bruni Lojac. + R. intermedia Tineo ex Lojac. + R. longiscapa Lojac. + R. pulchella Jord. & Fourr. + ? R. longistyla Lojac.]
Steno-Medit.
G bulb

Gladiolus italicus Mill., Gard. Dict. ed. 8: n. 2 (1768) [G. infestus Bianca]
Eurimedit.
G bulb
3
JUNCACEAE



Juncus inflexus L., Sp. Pl.: 326 (1753) [incl. J. angelisii Ten.+ J. glaucus sensu Guss.; Syn. J. glaucus Ehrh. ex Sibth.; J. reflexus Wender. ex Schult. fil.]
Paleotemp.
H caesp

Juncus bufonius L., Sp. Pl.: 329 (1753)
Cosmopol.
T caesp

POACEAE (GRAMINEAE)



Lophocloa cristata
Steno-Medit
T scap
2,3
Festuca heterophylla Lam., Fl. Franc. 3: 600 (1779) [incl. F. citardae Lojac.]
Europ.-Caucas.
H caesp
1
Lolium perenne L., Sp. Pl.: 83 (1753) var. perenne [L. perenne Guss., Fl. Sicul. Prodr. 1: 150 (1827) excl. var. b.; L. glumosum Planellas-Giralt]
Circumbor.
H caesp
1,2,3
Lolium rigidum Gaudin, Agrost. Helv. 1: 334 (1811) subsp. rigidum [L. perenne subsp. rigidum (Gaudin) A. Love & D. Love in Folia Geobot. Phytotax. 10 (3): 273 (1975); L. strictum C. Presl (1820); L. perenne b. tenue Guss. (1827); L. tenue Guss. (1843) non L.]
Subtrop.
T scap
2
Vulpia ciliata Dumort., Obs. Gram. Belg.: 100 (1824) subsp. ciliata [V. aetnensis Tineo; incl. V. gaudiniana Lojac. + V. unioloides Lojac.]
Eurimedit.
T caesp
2
Catapodium rigidum (L.) C. E. Hubb. in Dony, Fl. Bedfordshire: 437 (1953) subsp. rigidum [Bas. Poa rigida L., Fl. Angl.: 10 (1754)]
Eurimedit.
T scap
2
Poa sylvicola Guss., Enum. Pl. Inarim.: 371 (1855) [Poa trivialis L. subsp. sylvicola (Guss.) H. Lindb., Sched. Fl. Finl. Exsicc. 1-8: 9 (1906)]
Eurimedit.
H caesp
2
Poa trivialis L., Sp. Pl.: 67 (1753)
Eurasiat.
H caesp
2
Poa bulbosa L., Sp. Pl.: 70 (1753)
Paleotemp.
H caesp
2
Dactylis glomerata L., Sp. Pl.: 71 (1753) subsp. glomerata
Paleotemp.
H caesp
1,2,3
Dactylis glomerata subsp. hispanica (Roth) Nyman, Consp. Fl. Eur.: 819 (1882) [Bas. Dactylis hispanica Roth, Catal. Bot. 1: 8 (1797); Dactylis glomerata L. subsp. glomerata var. italica Schreb. ex Roth, Catal. Bot. 1: 8 (1797)]
Steno-Medit.
H caesp
1,2,3
Cynosurus cristatus L., Sp. Pl.: 72 (1753) [incl. C. spiralis Lojac.]
Europ.-Caucas.
H caesp
1
Cynosurus echinatus L., Sp. Pl.: 72 (1753) [Chrysurus echinatus (L.) P. Beauv. (1812); Cynosurus giganteus Nyman]
Eurimedit.
T scap
1,2,3
Briza maxima L., Sp. Pl.: 70 (1753)
Subtrop.
T scap
1,3
Echinaria capitata var. todaroana Ces., Passer. & Gibelli, Comp. Fl. Ital. 1: 41 (1868)
Steno-Medit.
T scap
2
Melica ciliata L., Sp. Pl.: 66 (1753) subsp. ciliata
Stenomedit.-Turan.
H caesp
2
Anisantha diandra (Roth) Tzvelev in Not. Syst. Herb. Inst. Bot. Acad. Sci. S.S.S.R. 22: 4 (1963) [Bas. Bromus diandrus Roth, Bot. Abh. Beobacht.: 44 (1787); Bromus gussonei Parl.]
Eurimedit.
T scap
2
Anisantha rubens (L.) Nevski, Acta Univ. As. Med., ser. 8b (Bot.), 19, in clavi (1934) [Bas. Bromus rubens L., Cent. Pl. 1: 5 (1755); Bromus madritensis L. subsp. rubens (L.) Husnot, Graminees: 71 (1898); incl. B. coloratus Lojac. + B. ponderosus Lojac.]
S-Stenomedit.
T scap
2
Anisantha fasciculata (C. Presl) Nevski, Acta Univ. As. Med., ser. 8b (Bot.), 17: 21 (1934) [Bas. Bromus fasciculatus C. Presl, Cyper. Gram. Sicul.: 39 (1820)]
S-Steno-Medit.
T scap
1,2
Anisantha tectorum (L.) Nevski, Acta Univ. As. Med., ser. 8b (Bot.), 22, in clavi (1934) [Bas. Bromus tectorum L., Sp. Pl.: 77 (1753)]
Paleotemp.
T scap
3
Bromus hordeaceus L., Sp. Pl.: 77 (1753) subsp. hordeaceus [B. mollis L.; Serrafalcus pauciflorus Lojac.; S. tinei Lojac.]
Subcosmop.
T scap
2
Bromus alopecuros Poir., Voy. Barbarie 2: 100 (1789) [B. alopecuroides Poir. in Lam.; B. scoparius L. var. alopecuros (Poir.) Fiori; B. contortus Desf.; “Bromus scoparius” sensu Guss. (1827)]
Steno-Medit.
T scap
2
Bromus lanceolatus Roth, Catal. Bot. 1: 18 (1797) [B. macrostachys Desf.; “B. lanceolatus + B. macrostachys” sensu Guss. (1827)]
Paleotemp.
T scap
2
Trachynia distachya (L.) Link, Hort. Berol. 1: 43 (1827) [Bas. Bromus distachyos L., Cent. Pl. 2: 8 (1756); Brachypodium distachyon (L.) P. Beauv., Ess. Agrost.: 101, 155 (1812); Bromus pentastachyos Tineo, Pl. Rar. Sicil. Pugill. 1: 4 (1817); B. paradoxus C. Presl, Fl. Sicul. 1: 45 (1826), in nota]
Steno-Medit.
T scap
1,2
Brachypodium rupestre (Host) Roem. & Schult., Syst. Veg. ed. 15, 2: 736 (1817) [Bas. Bromus rupestris Host, Icon. Descr. Gram. Austriac. 4: 10, tab. 17 (1809)]
Subatlant.
H caesp
1
Brachypodium sylvaticum (Huds.) P. Beauv., Agrost.: 101, 155 (1812) [Bas. Festuca sylvatica Huds., Fl. Angl.: 38 (1762); “F. gracilis” sensu Guss., Fl. Sicul. Prodr. 1: 109 (1827)]
Paleotemp.
H caesp
3
Aegilops geniculata Roth, Bot. Abh. Beobacht.: 45 (1787) [A. ovata L., Sp. Pl.: 1050 (1753) p.p.; Triticum ovatum (L.) Raspail in Ann. Sci. Nat. (Paris) 5: 435 (1825)]
Stenomedit.-Turan.
T scap
1
Dasypyrum villosum (L.) P. Candargy in Arch. Biol. Veg. (Athenes) 1: 35, 62 (1901) [Bas. Secale villosum L., Sp. Pl.: 84 (1753); Haynaldia villosa Schur.; Triticum villosum (L.) M. Bieb.]
Eurimedit.-Turan.
T scap
1,2
Hordeum murinum subsp. leporinum (Link) Arcang., Comp. Fl. Ital.: 805 (1882) [Bas. H. leporinum Link in Linnaea 9: 133 (1835); ?incl. H. dedegeni Lojac.]
Euri-Medit.
T scap
2
Hordeum bulbosum subsp. nodosum (L.) B. R. Baum in B. R. Baum & Bailey in Canad. J. Bot. 63 (4): 743 (1985) [Bas. H. nodosum L., Sp. Pl. ed. 2: 126 (1762); H. strictum Desf.]
Subtrop.
H caesp
2
Avena barbata Pott ex Link in J. Bot. (Schrader) 1799 (2): 315 (1800) subsp. barbata [Avena hirsuta Hornem. (1813); Avena hirsuta Moench (1802)]
Euri-Medit.
T scap
2
Avena fatua L., Sp. Pl.: 80 (1753)
Eurasiat.
T scap
1,2
Helictotrichon convolutum (C. Presl) Henrard in Blumea 3: 430 (1940) subsp. convolutum [Bas. Avena convoluta C. Presl, Cyper. Gram. Sicul.: 31 (1820) ?p.p.]
NE-Medit.-Mont.
H caesp
3
Avenula cincinnata (Ten.) Holub in Folia Geobot. Phytotax. 11: 294 (1976) [Bas. Bromus cincinnatus Ten., Fl. Napol. 3: 96 (1824-1829), non Ten., Lez. Bot. 4 (1): 52 (1823) = Bromus lanceolatus secundus Kerguelen (1993); Avena bromoides subsp. australis Nyman; A. australis Parl.; A. pratensis sensu Guss. non L. ; A. pratensis C. Presl; incl. A. panormitana Lojac. + A. opulenta Lojac. + “A. laevis” sensu Lojac. non Hack.; Avenastrum bromoides (Gouan) Cif. & Giacom. subsp. australis Parl. var. parlatorei St.-Yves]
SW-Medit.-Mont.
H caesp
1,2
Trisetaria aurea (Ten.) Pignatti in Arch. Bot. (Forlì) 31: 51 (1955) [Bas. Trisetum aureum Ten., Fl. Napol. 2:378 (1820); Syn. Koeleria aurea Ten., Fl. Med. Univ. 1, 1823 (Cors. Bot. Lez. 4): 58 (1823); Avena condensata Link; incl. T.aurem var. melitense Lojac.]
Steno-Medit. Centro-orient.
T scap
1
Lagurus ovatus L., Sp. Pl.: 81 (1753) subsp. ovatus [incl. L. nitens Lojac.]
Euri-Medit.
T scap
1,2,3
Anthoxanthum odoratum L., Sp. Pl.: 28 (1753) [incl. A. nebrodense Lojac.]
Eurasiat.
H caesp
1,2
Stipa capensis Thunb., Prodr. Pl. Cap. p. prior: 19 (1794) [S. tortilis Desf.]
Steno-Medit.
T scap
2
Stipa barbata Desf., Fl. Atlant. 1: 97 (1798) [“S. pennata” sensu Guss. (1827) p.p.]
W-Steno-Medit.
H caesp
1,2
Stipa sicula Moraldo, Caputo, La Valva & Ricciardi in Delpinoa 23 24 (1981 1982): 139 (1985)
Endem. Sic.
H caesp
1
Ampelodesmos mauritanicus (Poir.) T. Durand & Schinz, Consp. Fl. Afric. 5: 874 (1894) [Bas. Arundo mauritanica Poir., Voy. Barbarie 2: 104 (1789); A. tenax (Vahl) Link; Ampelodonax bicolor (Poir.) Lojac.]
SW-Stenomedit.
H caesp
3
CYPERACEAE



Carex distachya Desf., Fl. Atlant. 2: 336 (1799) [C. linkii Schkuhr]
Steno-Medit.
H caesp
3
Carex flacca subsp. erythrostachys (Hoppe) Holub in Folia Geobot. Phytotax. 23 (4) (1988) [Bas. C. erythrostachys Hoppe in Sturm, Deutschl. Fl. (Caricologica Germ.), Abth. 1, Heft 69 (1835); C. flacca Schreb. subsp. serrulata (Biv.) Greuter in Greuter & Rech. fil. in Boissiera 13: 167 (1967); C. cuspidata Host, Icon. Descr. Gram. Austriac. 1: 71, tab. 97 (1801)]
Europ.
G rhiz
1
ORCHIDACEAE



Orchis intacta Link i J. Bot. (Schrader) 1799 (2): 322 (1800) [Bas. Neotinea intacta (Link) Rchb. Fil.; Neotinea maculata (Desf.) Stearn in Ann. Mus. Goulandris 2:79 (1974); Satyrium maculatum Desf., Fl. Atlant. 2:319 (1799); Gymmadenia linkii C. Presl; Tinea cylindracea Biv.]
Steno-Medit
G bulb
1
Anacamptis pyramidalis (L.) De Orchid. Eur.: 33 (1817) [Bas. Orchis pyramidalis L., Sp. Pl.: 940 (1753)]
Euri-Medit.
G bulb




9 Conclusioni e discussione

L’indagine sulla componente floristica vascolare ha portato al censimento di 285 taxa specifici e infraspecifici ripartiti in 191 generi e 56 famiglie. L’inventario completo è presentato sotto forma di tabulato organizzato alfabeticamente per Divisioni, Famiglie e Generi di appartenenza. La componente endemica e subendemica, consta di 24 entità, alcune delle quali come Stipa sicula esclusive della Sicilia.
Lo studio sul paesaggio vegetale, condotto attraverso 32 rilevamenti, ha permesso di individuare 13 tipologie vegetazionali diverse, condensate in tabelle sintetiche, distinte a rango di associazione vegetale o di aggruppamento e descritte nei loro caratteri ecologici dinamici. Tra queste va ricordata, per lo straordinario effetto scenografico che assume durante la fase della spigatura, la prateria fisionomizzata e caratterizzata dall’endemica Stipa sicula.
L’indagine sul paesaggio vegetale finalizzato alla prospezione archeologica, ha permesso di tipizzare le formazioni vegetali insediate tra gli accumuli pietrosi che affiorano con una certa regolarità dal piano di terra.
Nel caso di monte Monte Soprano la diffusa naturalità e regolarità del paeaggio non ha evidenziato particolari discontinuità nella fisionomia, nella struttura e nella composizione floristica delle comunità vegetali insediate nei pressi dell’ipotetico sito archeologico.
Diversa è la situazione del sito di Alburchia dove è stato possibile tipizzare la prateria insediata sui resti dell’insediamento esposto a meridione. Il soprassuolo erbaceo - privo di ogni elemento legnoso riconducibile all’originario paesaggio vegetale - presentato in questa sede come “aggruppamento a Foeniculum vulgare”, risulta costituito in prevalenza da elementi dal carattere subnitrofilo riferiti al Bromo-Oryzopsion miliaceae O.Bolòs 1970 (ordine Hyparrhenietalia, classe Lygeo-Stipetea), alleanza a distribuzione Mediterraneo occidentale che include le comunità nitrofile che si trovano tipicamente nei campi in stato di abbandono, nelle aree incolte ruderali o bordi di strada, all'interno della fascia bioclimatica Termomediterranea o raramente Mesomediterranea.
L’analisi del paesaggio vegetale di Monte Alburchia, inoltre, è stato esteso al versante orientale che risulta colonizzato da un arbusteto uniforme composto esclusivamente da Artemisia arborescens.
L’artemisieto rilevato evidenzia un corteggio floristico composto da specie abbastanza sensibili ai tassi di salinità che suggeriscono - analogamente a quanto si verifica in altri estesi siti archeologici (Cesarò, Selinunte, Agrigento, Solunto, ecc.) in Sicilia - che questa specie sui substrati a profilo alterato, non trova competitori e forma estesi arbusteti che assumono carattere di stabilità permanente. Queste riflessioni suggeriscono di considerare l’artemisieto monospecifico di Artemisia arborescens quale probabile indicatore biologico di insediamenti di interesse storico-archeologico e quindi di concentrare la prospezione archeologica di tipo strumentale maggiormente nelle superfici interessate da questo soprassuolo.




Letteratura consultata

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